(“La Voce” del 20 marzo 2020)

Il silenzio della Quaresima è attivo e fertile: quelle che sembrano “rinunce” (al cibo, alle chiacchiere inutili, ai desideri disordinati…) sono, in realtà, aperture: spazi che si aprono per permettere inattese fioriture della Grazia.

La Quarantena – invece – parla il linguaggio dell’attesa: è un ritrarsi aspettando che il male passi. Anche la Quarantena insegna molto: è un’obbedienza che ci restituisce la nostra immagine di persone deboli e bisognose.

Tutto questo, per dire che – in queste settimane in cui Quaresima e Quarantena si intrecciano – le voci dall’officina sono un po’ più deboli. Non perché i lavori siano fermi (tutt’altro!) ma perché si sono dovuti cambiare gli strumenti.

Fino a non poi troppo tempo fa, lavorare alle sperimentazioni della “Giornata del Laicato” significava prendere la macchina, dopo il lavoro, e andare a incontrare gente, stendere progetti, fissare appuntamenti, incontrare gruppi… tutte cose che il “Coronavirus”ci ha temporaneamente tolto.

Il laboratorio teatrale della parrocchia del “Corpus Domini” si è interrotto dopo appena un paio di incontri.

Il laboratorio musicale che doveva partire nella parrocchie di Quacchio e Santa Caterina Vegri è stato bloccato in extremis da uno dei Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le bellissime proposte sul tema del creato avanzate dalla comunità “Le Bissarre” hanno subìto uno stop doloroso, e così le catechesi attraverso l’arte, la collaborazione con l’accademia “Arte e Luce”, quella col C.S.I. e quella col gruppo che sta organizzando la “Giornata della salvaguardia del Creato che si terrà a settembre…

Siamo fermi – ma non inattivi! – e quella che era una girandola felice di incontri, sorrisi e abbracci ha dovuto ridimensionarsi in una meno pirotecnica sequenza di e-mail, whatsapp, invio di allegati.

Quando tutto riprenderà – su questo siamo tutti d’accordo – nulla dovrà essere “come prima”. Dovremo tornare alle normali occupazioni più profondi e più saggi. Sarebbe davvero un peccato se gli sforzi che stiamo facendo non ci avranno insegnato nulla.

Per quanto riguarda la GdL, io credo che potremo tesaurizzare almeno due insegnamenti.

Il primo riguarda il linguaggio delle emozioni.

Il virus ci ha costretti a essere meno difesi, più trasparenti; ad avere meno paura di mostrarci impauriti e bisognosi di sostegno. A chiedere agli altri di accoglierci col nostra bagaglio (fardello, talvolta) di emozioni.

Mi sembra che questo cambiamento richiami la consapevolezza che il Vangelo non è una dottrina e l’annuncio non è un insegnamento. Il Vangelo è un incontro con un uomo e l’annuncio consiste nella rivelazione sconvolgente che quell’uomo è Dio presente.

Riflettendo su questo fatto, comprendiamo bene come ogni forma di annuncio debba  tendere al livello più profondo della sfera relazionale dell’uomo.

Non parole, ma contatti.

Non discorsi ben composti, ma rivelarsi di emozioni.

(A proposito di emozioni, il Vangelo di domenica contiene uno dei passi che più mi commuovono in assoluto: quando al cieco risanato viene chiesto di spiegare “Come mai” sia avvenuta quella guarigione così misteriosa, lui risponde: «Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo», che è come dire: un gesto d’amore si è insinuato sino alla radice stessa della mia fragilità e l’ha trasformata. Cosa dovrei spiegare?

Il secondo insegnamento riguarda il nostro rapporto con il creato. Il virus ci ha ricordato (rudemente, certo) che non è vero che dominiamo la natura ma che, anzi, dipendiamo dall’equilibrio che riusciamo o non riusciamo a instaurare con essa.

E tale mancanza di equilibrio non porta – come spesso affermiamo, illudendoci – all’inquinamento, ma alla morte.

Ecco: tra questi due poli si muove una “Giornata del Laicato” che brucia dalla voglia di riprendere a far incontrare le persone e che è proiettata verso un generativo intreccio con la Giornata della Salvaguardia del Creato di settembre.

Presto i suoni dall’officina torneranno ad essere ben udibili!

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