A pochi mesi di distanza dall’ingresso in diocesi di Ferrara l’arcivescovo mons. Natale Mosconi – nei suoi inesausti concezione e parto di edifici ed attività ecclesiali – vide la nascita del settimanale diocesano, evento già avvenuto a Comacchio con “La Croce” dal 1951. Fortemente voluto quale urgente e inderogabile necessità, il giornale sorgeva con il compito di “difendere la fede e salvare l’anima del nostro popolo. Viene a illuminare le menti con la luce del vangelo e a formare coscienze veramente cristiane”; questa l’intenzione vescovile.

Era la ripresa del giornalismo cattolico ferrarese, attivo già dal 1870, dapprima con l’opera del conte Giovanni Grosoli e poi dei movimenti cattolici diocesani, e che aveva conosciuto la sua “stagione d’oro” con “La Domenica dell’operaio”.
Il 26 dicembre 1954 usciva il primo numero di “la Voce di Ferrara”, diretta dal neo-parroco di Bondeno don Guerrino Ferraresi, affiancato da don Luigi Giglioli quale responsabile.

Nel corso degli anni vari sono stati i cambiamenti e i dirigenti succedutisi: dall’ottobre ’56 si presenta con nuovi caratteri tipografici e, poiché nata “per imposizione di necessità contingenti, un po’ straniera, appoggiata per motivi redazionali ed economici alla esperienza giornalistica di altra Diocesi”, era solo per metà ferrarese. Dopo due anni “si è creduto nella opportunità della totale naturalizzazione ferrarese del settimanale”.

Nuovo direttore per un mese appena è il presidente dell’Azione Cattolica Antonio Boari, subito surrogato da don Giulio Zerbini, il quale – data la nomina del giugno ’58 a rettore del Seminario maggiore – manterrà solo nominalmente l’incarico sino al ’68. “Se la nostra diocesi è – come è – una grande famiglia viva, non può essere muta, senza voce. Il settimanale è la voce viva della nostra grande famiglia diocesana: voce del padre, voce dei figliuoli, delle attività, degli impegni, dei programmi, delle preoccupazioni e ansie, gioie e sofferenze comuni a tutti i componenti d’una famiglia viva”: così si esprimeva mons. Mosconi.

Senza indugiare su collaboratori e coadiuvanti, troviamo che dal numero natalizio ’59 la testata viene mutata in “Voce Cattolica”, per poi cambiare ancora – da lì ad un decennio – in “Voce di Ferrara”. Anche il formato viene modificato e sostituito dal tabloid, che esce non più la domenica ma il sabato; mutamento anche alla direzione, affidata a don Giuseppe Cenacchi sino al 1986, allorché Ivo Mezzogori e Dino Tebaldi dal marzo cooperano quali redattori, per assumere essi la carica dal gennaio ’87 rispettivamente di direttore responsabile, il primo, e di redattore, il secondo.
Un’ultima metamorfosi di immagine si avrà dal gennaio ’88 quando, a seguito della fusione delle diocesi di Ferrara e di Comacchio, già accaduta in persona episcopi, il settimanale assumerà l’ultima titolatura “la Voce di Ferrara-Comacchio”, diretta da don Ivano Casaroli sino a fine ’97 e a seguire da don Massimo Manservigi, attuale direttore. Voce cattolica della nostra terra, dunque: questa la finalità del settimanale, passato da un taglio dapprima “ecclesiastico” ad uno più “ecclesiale”, strumento di approfondimento culturale sociale e pastorale della nostra Chiesa locale.