(“La Voce” dell’8 novembre 2019)

Mercoledì 30 ottobre scorso si è partiti con l’organizzazione delle ormai note tre sperimentazioni: il “Laboratorio della Fede” (un incontro con le famiglie con bambini in età prescolare), gli “Incontri con la Parola” (esperienze di conoscenza e approfondimento della Parola di Dio, con l’ambizione di arrivare a diffondere il metodo della Lectio Divina) e la “Bottega della Parola” (la “traduzione” della Parola di Dio in tutti i linguaggi della convivenza umana: musica, teatro, sport, pittura, architettura…).

Un incontro organizzativo e “pratico”.

Lo scopo era condividere e chiarire le sperimentazioni che vorremmo proporre alla nostra Diocesi (ma anche le prime esperienze che sono già partite e che – forse perché sono ancora allo stadio di germoglio – danno il senso entusiasmante della Primavera) e incontrare tutti coloro che, nei più vari modi, hanno deciso di “dare una mano”.

Abbiamo anche condiviso i primi movimenti in tema di comunicazione, perché la “Giornata del laicato” ci ha fatto capire – tra tante altre cose – che la nostra Diocesi ha una ricchezza enorme di energie e attività che però, troppo spesso, non vengono comunicate e partecipate adeguatamente, e questo è un vero peccato.

Questa rubrica e la sezione “Officina diocesana” sul sito de “La Voce di Ferrara-Comacchio” – di entrambe parleremo dettagliatamente – sono un modesto tentativo di aiutare la comunicazione che caratterizza la nostra Chiesa ad essere sempre più fluida e fertile.

Mercoledì sera, le voci che venivano dall’officina, hanno spesso richiamato un concetto spinoso: quello di “limite”.

Ci sono tanti modi per fare i conti col limite, che ha mille forme.

La forma della quantità, ad esempio:  “In Parrocchia siamo ormai pochi…”, ma anche quella della preparazione (“Questi nuovi linguaggi, davvero non riesco a capirli…”), della frustrazione (“Trovarsi a questo punto dopo tanto lavoro che abbiamo fatto…”), del disorientamento (“Qual è il posto di noi cristiani in questa società?”), della stanchezza (“È una vita che provo a essere missionario nel mondo che mi circonda…”). L’elenco – come si usa dire – potrebbe continuare, e a lungo.

In termini psicologici, il limite è una delle poche esperienze davvero universali. A nessuno – in qualsiasi società, a qualsiasi latitudine, qualunque sia il ruolo che si ricopre – è risparmiata l’esperienza del fare i conti col proprio limite.

Esperienza – ma sarebbe un discorso che esula ampiamente da questo contesto – che presentizza il limite ultimo: la morte.

Per questi motivi, dovremmo guardare ai nostri limiti non con paura, rabbia, ansia, aggressività e tutto il corteo di cattivi sentimenti annessi, ma con la delicatezza che viene dall’accostarsi alla fragilità più intima che accompagna il nostro essere uomini e cristiani.

E quindi? Come se ne esce? Con la creatività. Cioè scoprendo nuove strade lì (proprio lì) dove il nostro limite ci aveva oramai convinto che tutto era stato sperimentato.

E questo ci riporta alla “Giornata del Laicato”.

In questo periodo, la nostra chiesa diocesana sta affrontando alcuni limiti di non poco conto: il numero dei frequentanti molto ridotto, il calo delle vocazioni, la difficoltà a capire alcune riorganizzazioni, una società portata alla scissione tra fede e vita quando non all’indifferenza religiosa (e non si sa quale dei due mali sia il peggiore)…

Sono questioni che sarebbe sbagliato sottovalutare ma che non possono diventare il tema dominante del nostro pensiero.

Perché il pensiero della Chiesa – non importa il periodo storico, non importa con quanti limiti ci si trovi a fare i conti – è sempre uno e uno solo: illuminare e riscrivere, con la presenza di Cristo, le relazioni tra gli uomini.

In questo sta il fondamento – illimitato! – di tutte le nostre azioni e, quindi, anche delle “sperimentazioni” della Giornata del Laicato, che sono la nostra forma specifica di missionarietà: vogliamo generare continuamente relazioni umane e orientarle a Gesù e, per farlo, seguiamo le strade dell’incontro con la Parola di Dio e dei linguaggi creativi.

In poche parole: nell’incontro di mercoledì 30 c’era da rimanere felicemente sbigottiti per la quantità e la vastità di idee che emergevano, spinte – e in quello c’era da rimanere ancor più felicemente sbigottiti – da una passione missionaria che troppo spesso non traspare adeguatamente.

Il limite si supera con la creatività e la creatività, per la Chiesa, prende il nome di “missione”, vale a dire inventare nuove opportunità  e nuovi linguaggi per incontrare gli uomini del proprio tempo e, come ci chiede di fare papa Francesco nella Evangelii Gaudium, «…esprimere le verità di sempre [la salvezza portata nel mondo da Cristo] in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità». (EG, 41)

Questo vogliamo fare. Illimitatamente.

Teniamoci in contatto!

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