(“La Voce” del 24 aprile 2020)

E’ sempre questione di linguaggi.

Papa Francesco ha un dono, e lo interpreta magistralmente: sa condurre l’ascoltatore a concetti profondi e fondanti per mezzo di parole dall’apparenza semplice, quasi dimessa.

Con questo linguaggio modesto e rispettoso, Francesco ci ha ricordato – nell’omelia della Messa da Santa Marta del 17 aprile scorso – una verità basilare: la familiarità dei cristiani con il Signore è sempre comunitaria.

Dietro questa semplice frase stavano la condanna dello gnosticismo, la piaga della “fede fai da te”, la tentazione di salvarsi da soli e, in filigrana, la dolce convivialità dell’immagine del Risorto che incontra gli apostoli sul mare di Tiberiade: “…videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora»”.

Poche parole, un’immagine, e Francesco ci ha messo in mano una guida solida per affrontare questo tempo in cui il “virale” suscita il “virtuale”: è – davvero! – sempre questione di linguaggi.

Forti di questa convinzione, dobbiamo continuare ad approfondire le nostre riflessioni sulle sperimentazioni della GdL, che sono nate con la precisa finalità di mettere alla prova nuovi linguaggi per l’annuncio.

Quando, finalmente, il lockdown verrà allentato, sarà il momento di riflessioni approfondite su questo tema (ancora con le parole del Papa: “È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci”).

E riflettere vorrà dire – da un lato – soppesare il fatto che in queste settimane siamo stati costretti a familiarizzare con linguaggi nuovi, che si sono imposti prima e al di là di qualsiasi riflessione. Proviamo a immaginare: come avremmo preso, solo nel gennaio scorso la proposta di la Messa parrocchiale in diretta YouTube?

Un po’ di stupore, quanto meno… ma ecco che oggi ci troviamo a chiederci in che modo potremmo dotare gli anziani soli almeno di un tablet, perché anche loro possano condividere quel po’ di assemblea domenicale che ci è rimasta.

D’altro canto, la riflessione deve anche interrogare il fatto che quando tutto questo finirà (uscire dal tunnel, non rimanerci!), dire che “la vita riprenderà” non equivale a dire che “riprenderà la vita di prima”.

Quando, finalmente, potremo tornare a riunirci nelle nostre chiese, avremo alle spalle mesi in cui non solo avremo imparato forme di relazione nuove (le videoconferenze, le dirette YouTube, gli aperitivi via WhatsApp, i Consigli pastorali riuniti sullo smartphone…) ma – disgraziatamente – avremo anche frequentato arti oscure come misurare inconsciamente la distanza che ci separa dagli altri, provare rabbia per quel vicino che si attarda in strada a chiacchierare, essere tentati di “fare i furbi” di fronte alla norme di salute pubblica.

Ecco: se cerco di immaginare il percorso della “Giornata del Laicato” quando tutto ripartirà vedo una riflessione su questi due aspetti: il linguaggio per esprimere quanto abbiamo passato e quello per riprendere a progettare il futuro.

In relazione al passato: cosa tratterremo di queste settimane di distanziamento sociale? (ci sarà da sconfiggere la tentazione del “buttarsi tutto alle spalle”, e sarà una tentazione forte, se è vero che la negazione è il meccanismo psicologico più primitivo). In che modo i nostri linguaggi saranno maturati, si saranno arricchiti?

In relazione al futuro: com’è cambiata la mia relazionalità? Con che occhi vedo gli altri? Mi ritrovo a essere più o meno immerso nella società umana? E in quella ecclesiale.

Domande forti, come si vede bene.

Per rispondere alle quali dovremo imparare nuove parole che – com’è nello stile della GdL – trarremo dall’ascolto della Parola di Dio, attraversando poi i mondi della musica, dell’architettura, del teatro… per esprimerle.

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