(“La Voce” del 28 febbraio 2020)

Da quando è partita la grande avventura delle sperimentazioni legate alla “Giornata del Laicato sento molto forte il bisogno (e perciò, a costo di essere ripetitivo, lo racconto ogni volta che posso, in pubblico o in privato) di condividere la scoperta che ho fatto.

E la “scoperta” consiste in questo: che basta prendere in mano il telefono o farsi un quarto d’ora di macchina per incontrare un numero inaspettatamente grande di donne e uomini che vivono con passione la propria appartenenza ecclesiale, desiderano farsi carico in prima persona dell’annuncio del Vangelo e studiano i linguaggi più adatti per rendere presente Gesù nella nostra società.

Ho, nel pensiero, ben presenti i loro volti.

Si tratta di una “famiglia allargata” di chitarristi, funzionari pubblici, danzatrici, pensionati, urbanisti spontanei, storici dell’arte, attori e registi teatrali, studenti, cinefili per mestiere e per passione, sportivi, insegnanti…

Dimentico senz’altro qualcuno e solo per questo non ne scrivo i nomi, che sono però ben fissi nel mio pensiero.

Con loro, ho avuto riunioni e telefonate su di un unico, appassionante, tema: come possiamo usare i linguaggi di cui siamo esperti (musica, danza, arredo degli spazi esterni, storia dell’arte, palcoscenico, cinema, insegnamento…) per ricordare al mondo quanto bisogno ha di Gesù?

Scrivo queste cose perché mi sembra si corra talvolta il rischio, per pigrizia mentale, di fare nostre le “cattive narrazioni” che il mondo fa sulla Chiesa. Quante volte (noia infinita!) abbiamo sentito ripetere che “ormai siamo minoranza”, “l’Italia non è più un paese cattolico”, “il relativismo impera”, “le tradizioni vengono dimenticate”, “siamo una Chiesa di vecchi”…?

Tante.

C’è del vero in queste affermazioni?

Sì, senz’altro. Un po’ di vero c’è. E allora?

Se accettassimo di definire il nostro essere Chiesa attraverso certi quadri sociologici, commetteremmo un terribile errore di prospettiva.

A definirci non sono le capacità, le attitudini, l’età o il riconoscimento che la società ci dà o non ci dà. A definirci è la nostra capacità di cogliere l’azione dello Spirito in noi e nel mondo. Se apriamo gli occhi per osservare i segni della sua azione nella vita di tutti i giorni, allora diventa chiaro che, invece di leggere la nostra fede alla luce della sociologia, potremmo vedere nel presente il campo dove Dio stesso sta seminando il futuro.

Per la mia esperienza, il Dio seminatore, il Figlio sempre presente, lo Spirito che incessantemente agisce, si rendono percettibili negli incontri che facciamo con persone che la Grazia ha rinnovato e appassionato.

Come quelle, e qui il cerchio si chiude, che ho incontrato grazie alla “Giornata del Laicato”.

Ma tutti quegli incontri non sono l’unico frutto della GdL: le sperimentazioni continuano in diverse parrocchie della città, e la mia agenda mi dice che nelle prossime settimane continuerò ad incontrare altre persone disponibili a mettersi alla prova coi linguaggi dell’annuncio. La “Giornata del Laicato” ci permette di scoprire tante risorse e, ciò che forse conta ancora di più, di connetterle.

Tutte le esperienze cui qui sto solo accennando verranno raccontate nella prossima “Giornata”, il 23 maggio prossimo. Poi occorrerà decidere come effettuare una nuova consultazione del Laicato, e poi ci sarà da pensare a un intreccio con la non lontana “Giornata per la custodia del creato”, e nel frattempo le sperimentazioni dovranno espandersi e radicarsi…

Semina, presenza, azione.

Quanta bellezza c’è, da scoprire!

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