Luca Andreoli (Ferrara Terzo Mondo) ci racconta del suo recente viaggio ad Addis Abeba, dove ha rincontrato i “suoi” piccoli: grazie ai soldi raccolti con l’associazione, ora hanno una casa e un’assistenza

di Luca Andreoli

Dall’oblò di quell’uccellaccio di alluminio che mi sta trasportando per la 32esima volta in Etiopia e che sta procedendo all’atterraggio all’aeroporto di Addis Abeba, per la prima volta sono sorpreso, in questa ora notturna, dall’infinità di luci che la attraversano e che fanno immaginare che questa capitale africana, dopo solo 11 mesi da quando ne sono ripartito, sia diventata una città diversa, dove il benessere stia rapidamente prosperando tra i 5 milioni dei suoi abitanti. Il tassista che mi conduce alla mia solita guest house, però, mi avverte che questo sfavillio di luci durerà solo fino al termine della 37esima Assemblea generale annuale dei capi di stato e di governo della Unione Africana, in rappresentanza dei 55 stati che la compongono. Poi, di notte, tornerà la prevalente oscurità, immagine di una grande città dolente. Il tema di questa sessione è importante: “Educare un africano adatto al 21esimo secolo”. 

L’Africa è stato il continente perno degli appetiti coloniali degli stati europei fin dalla fine del 1400. Era troppo vicina al nostro continente e già dalle prime penetrazioni territoriali si stava dimostrando di facile conquista e ricchissima di ogni ben di Dio. Legni pregiati, pepe, avorio, oro, pietre preziose e tanto altro fino ad arrivare agli uomini, agli schiavi. Ora, dopo oltre mezzo millenio, molto è cambiato. Ma, forse, è aumentata ancor più la corsa all’Africa, e non solo da parte europea, per estrarne vantaggi e ricchezze da esportare. Malgrado questo e sicuramente anche per l’incredibile incremento demografico dei suoi abitanti, questo continente rappresenta agli occhi esperti di politici, economisti, industriali come il continente del futuro. Dagli attuali 1miliardo e 450milioni di abitanti ai quasi 4 miliardi di fine secolo, pari alla metà della popolazione mondiale in quel momento! E se, come si diceva un tempo, il numero fa la potenza degli stati, oggi moltissimi in Europa dicono che il numero, questo numero, oggi mette una tremenda  paura!

Con in mente questi pensieri, e con in tasca 10.000 euro in contanti, frutto del guadagno annuale del Mercatino dell’usato (traducibili in molto prezioso denaro locale), destinati all’aiuto per il 2024 per un centinaio di persone poverissime che abbiamo adottato a distanza come associazione Ferrara Terzo Mondo, ho iniziato le visite alle famiglie. Sempre accompagnato da Zerihun – un autentico angelo, onesto e intraprendente 33enne insegnante etiope che la Provvidenza mi ha fatto incontrare 12 anni fa -, ho con grande gioia constatato direttamente come, anche con somme non elevate, si possa far cambiare la vita agli ultimi della terra, a chi abita in quei gironi infernali che sono gli slums, le catapecchie, dove l’endemica miseria materiale spesso si associa, per l’assenza di speranze, a un abbruttimento dei desideri e dei comportamenti. E, mai come in questa ultima mia missione, ho toccato con mano i miglioramenti di vita e di speranze che un metodo serio e controllato di adozione a distanza offre a chi, sin dalla nascita, ha vissuto tra paure, fame e assenza di futuro. 

Tra questi, il progresso più lampante è avvenuto nel gruppetto di bambini di strada di cui avevo scritto su queste pagine lo scorso anno (v. Voce del 3 novembre 2023, ndr). Ero veramente frastornato e disilluso sulle possibilità di un cambiamento nella loro situazione di vita, forse solo un poco di sole nell’acqua gelida. Mi sono ricreduto, incontrandoli per una festa preparata da Zerihun in un piccolo ristorante, perché li ho visti tutti con sorrisi che non ingannano, con visi non emaciati e con occhi simili a quelli dei nostri figli quando ricevono da noi i regali che sanno non saltuari e che li  pensano anche come un dolce legame di vita familiare.  Con l’aiuto economico che abbiamo dato, tutti insieme hanno affittato una piccola abitazione dove rifugiarsi dalle intemperie di notte, dove poter cucinare e riposarsi. Ma soprattutto hanno sentito di essere almeno in parte protetti e legati ad una persona che non li abbandonerà e a cui fare riferimento per affrontare i loro quotidiani bisogni, anche sanitari. Lì, in quel preciso momento, ho dovuto assentarmi per qualche minuto, anche per ricordare con gratitudine quell’autentico catechismo di vita cristiana insegnatomi da mia madre che anteponeva la cura, l’amore concreto e fattivo, ad ogni forma eccessiva e fuorviante di spiritualismo che doveva rimanere la mia unica bussola per la vita.

Pensando anche ai volontari non giovanissimi che contribuiscono a questa iniziativa, pur nel rammarico di esserne l’unico testimone, ogni stanchezza è mutata in quella che si chiama felicità, percorso e destino della nostra vita.

Pubblicato sulla “Voce” del 26 aprile 2024

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