24 febbraio 2020

 

di Chiara Ferraresi

Il Presidente nazionale di Azione Cattolica ucciso dalle Brigate Rosse: la risposta della comunità cristiana (anche a Ferrara)

Dodici febbraio 1980. Al termine di una lezione universitaria presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, viene ucciso dalle Brigate Rosse Vittorio Bachelet, Vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura. A quarant’anni di distanza il ricordo di tale tragico evento è vivo nella memoria, come i fatti che segnano profondamente la storia collettiva, ma anche quella personale attraverso l’esperienza associativa. Vittorio Bachelet era stato, infatti, presidente nazionale dell’Azione Cattolica dal 1964 al 1973 e, in profonda comunione con papa Paolo VI, ne aveva guidato il rinnovamento, sancito dallo Statuto del 1969, radicandolo nel magistero del Concilio Vaticano II, della cui diffusione divenne strumento. Proprio per questo molti giovani di AC che respiravano in quegli anni il desiderio di cambiamento nella società e nella Chiesa trovarono in lui un riferimento autorevole, uno stile improntato alla speranza e al dialogo.

Ricordo come ricevemmo la notizia in famiglia, al rientro da scuola, dal telegiornale, come tante famiglie italiane. Qualcuno in casa urlò: “Hanno ucciso Bachelet” e ci trovammo insieme sconvolti, davanti a quelle tragiche immagini. Oltre al rinnovarsi, a due anni dal caso Moro, del trauma collettivo di un attentato terroristico nei confronti delle più alte cariche dello stato, il dolore della perdita di un padre, un amico, un fratello. La stessa comunità familiare accolse nel silenzio più commosso due giorni dopo la preghiera di Giovanni Bachelet al funerale del padre. Piangemmo insieme, come penso tanti altri, per la forza di quella testimonianza profonda, umile e al tempo stesso decisa.

Erano anni davvero difficili quelli, si sentivano vacillare le istituzioni davanti ai colpi del terrorismo, si respiravano minaccia e violenza nell’aria. Quella preghiera seppe orientare le nostre coscienze come, penso, quelle di molti, credenti e non. Una preghiera, come testimonia Giovanni anche in una recente intervista sul Corriere della Sera, che la famiglia aveva pensato insieme, moglie, figli, zii gesuiti, cercando di interpretare quello che avrebbe detto Vittorio di fronte a persone non troppo abituate ad ascoltare il messaggio del Vangelo. Scelsero, in primo luogo, il riferimento fiducioso alle istituzioni, riaffermando i valori della democrazia e della Costituzione a cui “papà aveva dedicato la vita”. E poi le parole che si sono incise nelle coscienze, la preghiera per “quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”. La richiesta, dunque, di essere sorretti nel percorso di rielaborazione della violenza subita, per procedere non nella direzione della violenza e dell’odio, ma in quella evangelica del perdono che genera vita. Grazie alla tv pregammo in molti con Giovanni in quel momento e si aprì un orizzonte diverso che si opponeva dall’interno della società e della comunità cristiana alla “strategia della tensione”. Il germe di un processo importante che certo contribuì a sconfiggere il terrorismo.

Pubblicato sull’edizione de “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2020

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