Siamo a fine agosto 1943, il regime è caduto da un mese: anche dalle carte intestate del Comune di Ferrara vanno tolte le tracce del ventennio. Una storia immaginata partendo da un documento reale

 di Umberto Scopa

Siamo nel 1943, il 25 agosto di 80 anni fa giusti. Un anno che solo a pronunciarlo richiama alla mente snodi drammatici della storia del nostro paese. Anche nelle transizioni storiche più drammatiche, la vita sociale delle comunità scorre, attende ai necessari riti quotidiani, cercando affannosi adattandosi al nuovo corso della vita collettiva. È il 25 agosto 1943 e possiamo immaginarci un funzionario del Comune di Ferrara che lavora negli uffici della ragioneria. È lui il protagonista di questa storia. 

È il 1943 e il Comune di Ferrara deve dunque redigere il bilancio preventivo per il 1944. È agosto e non è troppo presto per iniziare la pratica. Deve essere approvato entro il 31 dicembre dell’anno corrente ovviamente. Il rito vuole che la ragioneria centrale dirami ai vari servizi le richieste delle proposte di spesa per l’anno venturo. Questa procedura laboriosa si ripete pedissequamente ogni anno. In ogni epoca la burocrazia amministrativa ha delle scadenze fisse e si deve attivare con adeguato anticipo conoscendo la complessità della macchina organizzativa e i suoi tempi di funzionamento. Il 25 agosto 1943 il nostro anonimo funzionario inizia a redigere in qualità di estensore il documento da sottoporre alla firma del titolare dell’ufficio. Non c’è un atto amministrativo che più di questo dia l’idea di “normalità”. In ogni tempo la municipalità deve impiegare le sue risorse a beneficio della comunità che amministra e questo è un compito insopprimibile in qualunque contingenza, anche eccezionale. I passaggi fondamentali nei quali si dipana questo adempimento sono sempre quelli che ho esposto sopra, invariati fino ai giorni nostri, anche se oggi sono veicolati da più evolute tecnologie che ben sappiamo. L’anonimo funzionario del 1943 inserisce il foglio nella macchina per scrivere che poi è la tecnologia del suo tempo. Questo documento, che il rullo trasporta dentro la macchina, non è immaginario nel mio racconto, è reale, esiste ed è conservato nell’Archivio Medri presso il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara (Faldone 28 cartella “1941-1945-1946-1947”) dove chiunque voglia può esaminarlo.

Sulla carta intestata del Comune si legge la provenienza dall’Ufficio di Ragioneria. Chi volesse esaminarlo però non vi troverà nulla di particolarmente significativo nel contenuto della comunicazione. Anche le formule espressive usate non aggiungono nulla a quello che ci potremmo aspettare. Se ho voluto degnarlo di un’attenzione particolare è perché il documento mostra, ad un attento esame, alcuni segni strani che in un primo momento mi erano passati davanti inosservati, ma contengono la storia. Prima di rivelare in cosa consistano quei segni voglio provare a ricostruire verosimilmente anche il microcosmo operativo nel quale si muoveva quel funzionario nel suo ufficio. È regolarmente seduto nel suo ufficio. Il regime fascista è caduto da un mese esatto, il 25 luglio. La vita sociale tutta del paese versa in uno stato di profonda incertezza.

È agosto e il mese di settembre è vicino e questo il funzionario redigente lo sa, quello che non può sapere è la catena di eventi che in breve tempo porterà a quell’8 settembre prossimo venturo, così magistralmente immortalato nel film “Tutti a casa” di Luigi Comencini: l’armistizio, lo sbandamento, e poi la ricostituzione in forma nuova del regime fascista nel nord Italia. Ma nel momento presente di quel documento in via di redazione, il 25 agosto il fascismo è semplicemente caduto, non c’è più. È possibile immaginare che il funzionario sia disturbato da una serie di movimenti di operai, imbianchini arrampicati sull’esterno del suo edificio, o forse, se non nel suo, in quelli limitrofi che può vedere dalla finestra. Stanno rimuovendo dagli edifici i simboli fascisti. C’è un lavoro da fare sull’edilizia pubblica locale che in vent’anni si era ricoperta di simboli del fascismo ben impressi e visibili sulle pareti esterne. Il partito era diventato Stato, ma dopo il 25 luglio lo Stato torna a prendere le distanze dal partito. Quindi ora si adopera, senza perdere tempo, a disfarsi dei simboli fascisti ovunque si trovino. Ci tengo in proposito a richiamare la memoria di un romanzo storico su Ferrara al tempo della guerra, basato su un’attenta documentazione delle fonti giornalistiche (soprattutto il “Corriere Padano” del tempo). Si tratta del romanzo di Fulvio Pertili “In Cambio di niente” (Edizione Cartografica – 2006). L’autore ci lascia memoria dell’immediato intervento di tante squadre operaie che dopo il 25 luglio 1943 si arrampicano sulle pareti di tutti gli edifici pubblici cittadini per ripulirli dagli ornamenti e simboli del regime, il più delle volte coprendoli con lunghe pennellate di tinta. Ci ricorda l’autore che tali operazioni sono classificate con la definizione “residui”. Il funzionario riprende ad esaminare le sue carte. Ha certamente notato un particolare nello stemma del Comune di Ferrara stampato sull’intestazione della carta che sta usando. Un particolare che improvvisamente è diventato un problema per il suo lavoro. Quelli sono i fogli che ha in dotazione e non ne ha altri. Lo stemma del Comune di Ferrara reca ancora il simbolo del fascio littorio. Così era la carta intestata usata negli anni precedenti per l’identico atto.

Prima dell’avvento del fascismo tutti i Comuni d’Italia avevano sempre esibito i loro stemmi identitari, differenti gli uni dagli altri: rivendicavano orgogliosamente la storia individuale di ciascuno di essi, la storia che era identità della comunità che l’aveva vissuta. Ma sotto il fascismo una storia nuova era entrata con prepotenza nella vita di tutti i Comuni contemporaneamente e per la prima volta lo Stato centrale voleva essere ricordato anche nei loro stemmi. I Comuni avevano dovuto inserire all’interno della figura quel simbolo nuovo. Il nostro estensore ha in mano fogli di carta intestata con lo stemma contenente il fascio littorio. Ora però, molto probabilmente, ha ricevuto delle nuove direttive in proposito. Quel simbolo non va più bene nello stemma e nella carta intestata e però nei fogli che ha sul tavolo c’è. Altri fogli non ne ha. Un documento proveniente dall’amministrazione comunale non si può redigere su un foglio bianco, deve avere ben marcata la sua intestazione in una forma che generi immediatamente affidamento di chi lo riceve sulla veridicità dell’autorità dalla quale proviene. Nel caos del paese nuovi fogli di carta intestata, adeguati alle nuove direttive, non ci sono, o non sono ancora stati prodotti; non c’è da meravigliarsi, scarseggiano anche i beni di prima necessità. Rimane un solo modo per rimuovere quel simbolo. Un metodo un po’ brutale e che produrrà un risultato esteticamente non certo gradevole, ma conta la sostanza e la sostanza è che quel simbolo deve scomparire. Così, l’unico modo che rimane all’estensore è lì, proprio dentro quello strumento che usa ogni giorno, la macchina per scrivere. Tra tutti i caratteri ce n’è uno in particolare, è una X, una croce che si usa anche per cancellare. Posiziona il foglio in modo da sovrascrivere sul simbolo e lo seppellisce sotto una “mitragliata” di X.

Deve ora sottoporlo alla firma del Commissario Prefettizio Dr. A. Marolla. Ma l’estensore ha in mano un foglio che porta in calce sovrascritto “Il Podestà”, proprio dove deve essere apposta la firma del titolare dell’ufficio. E anche questo non va bene, quindi un’altra serie di XXXXX lo cancella.

Per chi volesse adottare una visione meno traumatica, quella serie di XXXXX potrebbe sembrare anche una serie di punti di sutura su una ferita che invoca di essere ricucita. In ogni modo quello che conta è come si rivela a noi oggi, e la capacità di racconto che incorpora questo documento di archivio, emesso nell’ordinaria amministrazione di un periodo di eccezionale emergenza della storia del nostro paese.

Pubblicato sulla “Voce” del 15 settembre 2023

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