Anche Giovanni di Cosimo de’ Medici amava «quelle bianche incarnate»

di Micaela Torboli

Il poeta francese Albert Samain (1858-1900) ha scritto: «Quando siete in preda al pessimismo, guardate una rosa»: le ombre si diradano dove la bellezza risplende. 

Il rinnovato giardino di Palazzo Schifanoia, dopo i lavori voluti dal Comune di Ferrara, oltre che di alberi (anche da frutto) ed arbusti, è ora ricco di profumate rose inglesi, giunte da un vivaio di Assisi. Ma vi fu un tempo in cui il giardino, assai più vasto di quanto è ora, ospitava rose così uniche e rare, che venivano richieste da illustri estimatori di quei fiori, come Giovanni di Cosimo de’ Medici (1421-1463). Il 10 marzo 1456 Giovanni inviò a Ferrara una lettera per Giovan Francesco della Torre, la cui famiglia a quel tempo possedeva Palazzo Schifanoia (acquistato da Alessandro Sforza, che lo deteneva come dono del marchese Nicolò III d’Este) dove si legge: «Mandami parecchi piedi di rose di quelle bianche incarnate». Era forse l’antica Rosa bianca incarnata dalla corolla appiattita che vediamo nei dipinti di Botticelli. 

Malgrado il clima sfavorevole, i giardini estensi erano tra i più deliziosi al mondo. Per averne un’idea abbastanza precisa, basta osservare un disegno prospettico eseguito dall’architetto e scultore ferrarese Annibale Zucchini (1891-1970) che accompagna un articolo uscito sul «Corriere padano» dell’8 maggio 1927, a firma Ippolito Cantelmo, pseudonimo di Donato Zaccarini, promotore delle arti cittadine e studioso di valore. Lo scritto è dedicato alla Palazzina di Marfisa d’Este in Giovecca, ma estende il tema alla sistemazione di tutto un nucleo architettonico, che mostra in sé «intima connessione» ed è composto da questa, insieme a Palazzo Neroni-Bonacossi con torretta su via Cisterna del Follo (che fu pure dei Cantelmo) e  Palazzo Schifanoia alla Scandiana. Particolare risalto è dato dagli autori ai giardini, e vediamo quanto si presume fosse splendido quello che dal 1929-30 ospita l’incongruo tennis Club Marfisa d’Este, in passato in piena fusione con gli spazi verdi della Palazzina. La situazione rappresentata, infatti, si adatta all’anno 1559, quando i due edifici appartenevano entrambi a Francesco d’Este, fratello del duca Ercole II, che ne disponeva unitamente e sarebbero passati poi alla figlia maggiore, naturale, la principessa Marfisa. Zucchini delinea pure la parte retrostante di Schifanoia, dove si nota lo scalone, in seguito eliminato, che permetteva l’accesso dall’esterno al Salone dei Mesi. Era «una scalla tutta di marmo con sei collonnette alte di marmo che sostentano il coperto di detta scalla, qual è pur riparata da collonnette di marmo che al mezzo formano un poggioletto, e sotto la madema scalla vi sono due camerini», come si legge in un donumento del 1727. Secondo Carla di Francesco questo scalone in pietra, coperto, era gemello di quello tuttora esistente in Piazzetta Municipale e serve l’ingresso a Palazzo Ducale. L’opera, ideata da Pietro Benvenuto degli Ordini, è coeva a quella di Schifanoia. Zaccarini afferma che i restauri della Palazzina, voluti allora dalla «Ferrariae Decus», erano solo un primo passo verso un ripensamento generale, poi realizzato in concreto solo in parte. 

Nel 1927 l’idea, a proposito di spazi verdi, era che fosse ripristinata nell’area «una boschetta deliziosa di ombre, distrutta, come tante altre in Ferrara nel secolo scorso, per farne legna». Speranza vana. In precedenza alcuni interventi furono dannosi: i muratori tolsero (non è chiaro per ordine di chi) decorazioni dipinte a trofei di armi dal lato sud di palazzo Neroni-Bonacossi, lasciando mattone a vista, ma essendo «ineguale la muratura, vi si è piantato contro un rampicante che dovrebbe servire ad occultare il malfatto, ma nasconde, nello stesso tempo, anche l’architettura». Il triplice insieme di palazzi (per non parlare degli edifici adiacenti), malgrado continui restauri è insomma da considerarsi come particolarmente sfortunato, sicché il risarcimento del giardino di Schifanoia giunge gradito e, ci si augura, foriero di futuri progetti condivisi da esperti e cittadinanza.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 2 giugno 2023

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