“Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” è l’esposizione visitabile al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara: un viaggio nella gloriosa storia della civiltà portuale

di Pieraldo Ghirardelli

Il 22 dicembre nel Museo Archeologico Nazionale di Ferrara inaugura la mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”. L’evento, in programma fino al 23 aprile 2023, fa seguito alla mostra “Spina100 Dal mito alla scoperta”, tenutasi a Comacchio tra giugno e ottobre di quest’anno, entrambe a commemorazione dei cento anni dalla scoperta della città etrusca di Spina. 

Reca la data di lunedì 3 aprile 1922, la lettera inoltrata dall’ing. Aldo Mattei, dirigente della Sezione del Genio Civile di Comacchio, alla Regia Soprintendenza agli Scavi e Musei Archeologici di Bologna, nella quale annuncia la casuale scoperta da parte di un operaio, in Valle Trebba, di un «sepolcreto probabilmente di epoca etrusca, così ritengo dai frammenti di vasi istoriati».

Terra melmosa di Valle Trebba, nell’area settentrionale delle Valli di Comacchio, da poco riemersa dall’acqua grazie alle bonifiche iniziate nell’autunno del 1919. Antiche suppellettili dalla densa vernice nera, come frammenti di sguardi, dal passato millenario, scrutano dentro l’anima di un ingenuo operaio, che fino ad allora non aveva che avuto solo un nome ed un cognome, Giuseppe Baroni, ma che da quel momento in poi, sarebbe stata una delle tante vite contagiate dalla riesumazione della bellezza della classicità. Sono questi i primi febbrili istanti che inaugurano la scoperta della perduta Spina. 

Da millenni il suo mito affascinava storici e letterati, da Boccaccio a Carducci, portando alla compilazione di un metaforico fascicolo zeppo di supposizioni sulla sua esistenza e collocazione.

Già sporadici nei secoli furono i rinvenimenti di manufatti antichi, come testimonia la cimasa di un candelabro raffigurante Enea ed Anchise, in fuga da Troia, delle collezioni del Museo Archeologico di Bologna, rinvenuta nella stessa Trebba già nel 1668. 

La prima, imponente, campagna di scavi si è svolta dal 1922 al 1935 con un quantitativo di 1213 tombe rinvenute, escluse quelle sottratte dall’azione dei tombaroli. Nei primi due anni la direzione degli scavi fu presieduta da Augusto Negrioli e dal ’24 in poi dal soprintendente Salvatore Aurigemma, che nel 1935 portò a coronamento dell’impresa, l’inaugurazione del Regio Museo di Spina, nella sede di Palazzo Costabili, detto “di Ludovico il Moro”, attuale sede del museo. 

Nel secondo dopoguerra, con la continuazione dell’opera di bonifica, la ricerca di scavo si è potuta espandere a Valle Pega e Rillo, dove grazie a Paolo Enrico Arias, dal 1954, e a Nereo Alfieri, dal 1956 al ’65, il numero complessivo di tombe rinvenute ha superato le 4000 unità. Si deve ad Alfieri anche l’individuazione dell’abitato, sul finire degli anni ’50. Fino ad allora di Spina si conosceva ed era stata esplorata solo la necropoli, la città dei morti, accompagnati nel viaggio nell’oltretomba da un corredo, come prevedeva la cultura etrusca.

Il rinvenimento dell’abitato ha permesso di collocare Spina in un luogo e in un momento ben specifico della vicenda antropica alle foci del Po. I ritrovamenti archeologici fermano la data della sua fondazione al 530 a.C., nel panorama dell’espansione etrusca verso l’Adriatico. Spina sorse come emporio commerciale marittimo, che grazie alla sua posizione strategica, su un ramo del delta del Po in prossimità della costa, metteva in comunicazione l’Etruria Padana e Tirrenica con il Nord Europa e il Mediterraneo, che rappresentava la più importante “autostrada” dell’antichità. 

A circolare non erano solo le merci ma soprattutto le esperienze culturali. Il bacino mediterraneo come spazio d’incontro e contaminazioni. Nonostante la nostra possibile avversione per quest’ultima parola, associata a gravi disastri ambientali o vista la recente pandemia, il contagio delle idee genera ricchezza. Spina ne è un esempio. Numerose sono le iscrizioni etrusche, venete e greche rinvenute a testimoniare la convivenza di questi popoli. Un monito fondamentale per i nostri tempi, dove si pensa a chiudere i porti, quando a Spina, non tanto nell’abitato, quanto nelle tombe non sono state rinvenute tracce di armi, che potevano identificare un’ipotetica civiltà guerriera. 

Dalla necropoli sono emerse le attestazioni di una civiltà portuale che ha trovato nella sua rapida ascesa, un’importante relazione con il mondo greco. Dall’Attica, la regione di Atene, provengono i copiosissimi e maestosi capolavori ceramici che riempiono le tombe delle prime fasi della città.  A suggellare il ruolo che Spina ricopriva negli scambi con la Grecia, le fonti ricordano la presenza di un suo donario nel santuario di Delfi. Sede del più importante oracolo del dio Apollo, per questo raccoglieva offerte di tutte le póleis greche. Spina è l’unica città etrusca, insieme a Pyrgi (Cerveteri), ad aver avuto l’onore di poter offrire un proprio tesoro. Il riferimento a Pyrgi non è casuale, essendo stata anch’essa città portuale, nell’opposto versante tirrenico. Proprio da Pyrgi, provengono alcuni manufatti che andranno a comporre la mostra di Ferrara. 

La mostra di Comacchio ha ricostruito l’avvicendarsi degli scavi ufficiali e clandestini e si è concentrata su Spina nelle sue differenti fasi storiche e le abitudini dei suoi abitanti, questioni largamente istruite nel percorso ufficiale del museo di via XX Settembre. Quello che la mostra di Ferrara cercherà di offrire, è un percorso che amplia il nostro sguardo su Spina rispetto al suo ruolo nel Mediterraneo. Così da quella fucina di scambi del passato, nascono, per realizzare questo percorso espositivo, nuove forme di collaborazione tra soprintendenze e istituzioni museali, come nel caso dei prestiti di Cerveteri, Adria, Pisa o, eccezionalmente, del Metropolitan Museum of Art di New York, che dimostra quanto i frammenti della civiltà spinetica abbiano raggiunto lontani musei tanto quanto le merci che passarono a Spina giunsero poi in altri porti lontani.

La storia di Spina ha avuto una vita relativamente breve, circa tre secoli. Non sono ancora precisate le cause dell’abbandono della città. Forse per motivi ambientali, il sito risulta essere stato allagato dalle acque, in contemporaneo ai cambiamenti geo-politici con la discesa delle popolazioni del nord, che spiegherebbero la presenza nell’abitato delle tracce d’incendio e delle numerose ghiande missili, gli antichi proiettili che gli spineti usavano per difendersi. Ma la storia di Spina non si è fermata lì. 

Oggi Spina rivive nel Museo Archeologico Nazionale, nel Museo del Delta Antico, nel parco archeologico della Stazione Foce, attraverso le conferenze, gli approfondimenti e le mostre, come quella di Ferrara che al suo termine si sposterà a Roma all’ETRU, il Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia, una sorta di “Delfi” dell’etruscologia. Una volta messo in luce tutto questo, le ombre su Spina rimangono, però, ancora tante, e così la ricerca continua grazie agli studi delle università europee, in testa quelle di Zurigo e Bologna, con nuove campagne di scavo, affinché Spina possa sempre più riemergere dalla storia. 

Articolo pubblicato su “La Voce” del 23 dicembre 2022

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