L’opera dal 1945 è nel nostro Arcivescovado (prima era a Santa Maria in Vado)

di Micaela Torboli

Giovanni Girolamo Savoldo: un artista eccelso, sebbene non celebre. Nato intorno al 1480 a Brescia (morirà a Venezia nel 1548), una brillante carriera, è incerta la sua formazione. 

Torna in questi giorni alla ribalta, con Ferrara protagonista, proprio il giovane Savoldo. Andrea Sartori ha esaminato per il sito “Finestre sull’Arte” (10 aprile 2025) il catalogo dell’esposizione di Palazzo dei Diamanti di Ferrara, appena conclusa, Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso (a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli): ne ha tratto un articolo dal titolo Savoldo in incognito a Palazzo dei Diamanti. Sartori si concentra su una tela dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio che era in mostra, eseguita nel secondo decennio del Cinquecento da autore incerto. Si trova in Palazzo Arcivescovile dal 1945, dopo aver lasciato la chiesa di Santa Maria in Vado. Bastianino (1528-1602) la rese rettangola, da centinata che era, dipingendo Angeli sulle curve. Rappresenta una Madonna con il Bambino in gloria, angeli musicanti, i santi Paolo, Matteo, Pietro e due sante. Il titolo attuale è dubbio, si sa che il dipinto fu modificato. Una scritta identifica Matteo. Paolo si riconosce dalla spada. Resta Pietro: il libro è spesso suo attributo, ma qui mancano le solite chiavi. Forse non di sante si tratta per le figure femminili in basso (in alcune fonti le troviamo come Agata e Apollonia), ma di due devote, dato che la pala nacque per la Cappella Varano di Santa Maria in Vado, e la Casa Varano aveva donne di peso, come Filippa Guarnieri Varano (morta nel 1548), il cui ritratto a figura intera – in una misteriosa Allegoria della Fortezza e della Giustizia -, variamente attribuito, si trova ancora nella Cappella Varano. Meglio non definire la famiglia “Da Varano”, o da Varano: la casata era Varano, (già) duchi di Camerino, e a Ferrara si usò Casa Varana/Varano/Varani, oppure “de’ Varano” come dire “dei Varano”, ma non Da Varano, se non molto di rado.

Marialucia Menegatti ha trattato nel catalogo della mostra la questione dell’autore del dipinto Varano esposto, per la studiosa «Già attribuito a Giovanni Luteri detto Dosso» (p. 345), pur mantenendo aperte ancora (p. 302) le proposte di chi lo volle di mano del giovane Dosso Dossi (ad es. Carlo Volpe e Vittorio Sgarbi), quindi quel «già» fa presumere l’alternanza di un’idea in bilico, e pare un approccio scivoloso. Che viene sottolineato da Sartori, in quanto «Tale contraddizione dimostra tutta la perdurante difficoltà di prendere posizione rispetto all’attribuzione». 

Si stende sul fatto l’ombra del critico Roberto Longhi (1890-1970), e di un gruppo di quadri che egli credeva si legassero a Dosso giovane. La pala Varano, secondo i longhiani, può farne parte. Ricerche su documenti originali stanno sgretolando l’insieme longhiano, è un fatto. Sartori accantona Dosso e propone per la pala Varano un legame con il giovane Savoldo, peraltro inteso già dai longhiani come esempio per Dosso, insieme a Giorgione e Tiziano. Attivo a Parma e Firenze, aveva pure rapporti con Ferrara. È forse lui quel «maestro Ieronimo da Bressa» citato in una lettera del 1508 a Giovansimone Buonarroti, fratello di Michelangelo, scritta dal poco studiato Pietro (o Piero) d’Argenta “ferrarese”, amico e collaboratore proprio di Michelangelo. Nel Dizionario Biografico degli Italiani (vol. 91, 2018) Francesco Frangi ricorda che Savoldo fu pagato nel 1515 per aver fornito al duca Alfonso I d’Este «3 figure» non precisate, secondo un documento segnalato da Vincenzo Farinella nel 2008. La mobilità giovanile di Savoldo, e i rapporti fecondi che intrecciò, a Ferrara poterono attirarlo sia a corte che, si presume, presso privati. La traccia savoldesca per la pala Varano colpisce, ma aiuterebbe sondare fondi e archivi Varano, dei quali resta traccia a Camerino e Ferrara, oltre che a Firenze (Biblioteca Nazionale Centrale e  Archivio di Stato), per togliere, se possibile, ogni dubbio. Come abbiamo visto, quando carta canta non c’è Longhi che tenga.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 2 maggio 2025 

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