27 gennaio 2020

Intervista a mons. Michele Zecchin sul percorso, che si intensificherà nei prossimi mesi, di ripensamento della geografia del nostro territorio diocesano: sempre meno sacerdoti, sempre meno fedeli ma sempre più bisogno di annunciare il Vangelo in forme non sclerotizzate.

E ancora: i possibili passaggi per iniziare un cammino graduale e condiviso di formazione di nuove Unità pastorali o comunque di diverse collaborazioni fra le parrocchie. Per dar vita a una Chiesa sempre più comunionale, ministeriale e sempre meno clericale

A cura di Andrea Musacci

Ripensare confini, strutture e rapporti fra parrocchie e vicariati, non è un mero esercizio di riorganizzazione formale, pur necessario.

Si tratta di un lungo e complesso lavoro nel quale, tanto i presbiteri quanto i laici, debbono innanzitutto ripensare il proprio ruolo all’interno delle singole comunità e nella Diocesi.

Abbiamo rivolto alcune domande a mons. Michele Zecchin – segretario del Consiglio presbiterale diocesano, membro del Consiglio per il Ripensamento dei Vicariati e delle Unità Pastorali, oltre che Vicario foraneo di S. Maurelio e parroco di S. Agostino – per cercare di ragionare su questo percorso di nascita di nuove collaborazioni e unità pastorali, e di ridefinizione di alcuni “confini d’azione”. “Non ci sono forme precostituite o già perfettamente sperimentate. Serve un grande impegno di discernimento”, spiega in un passaggio. Intanto, il percorso è avviato, e a sua volta è il proseguimento di quello che ha visto le primissime unità pastorali diocesane nascere un anno e mezzo fa.

In particolare negli ultimi anni, con la nascita delle prime Unità Pastorali, la geografia della nostra Arcidiocesi sta cambiando volto. Nei prossimi anni quali trasformazioni avremo?

La nascita delle prime Unità pastorali è la conseguenza di un cambiamento in atto da molto tempo. La secolarizzazione della società, la trasformazione demografica, lo spopolamento delle campagne… tanti fattori che hanno modificato la vita delle comunità parrocchiali, sia in città, sia nel forese. A queste modificazioni si è posta sempre attenzione negli anni passati: si tratta di continuare a riflettere e a farlo in modo sempre più organico e ‘sinodale’ per conformare la mentalità e poi le strutture della nostra chiesa a queste nuove situazioni.

Difficile dire esattamente quali trasformazioni avremo: sarà un processo lungo di maturazione di un modo di essere chiesa più comunionale e più ministeriale. Diventerà sempre più normale la collaborazione tra le parrocchie, dal punto di vista pastorale e anche amministrativo. Spero che la trasformazione più importante (e sarà anche piuttosto lenta) sia proprio quella di una modalità diversa di pensarsi come Chiesa in una dimensione sovra-parrocchiale.

La sfida grande sta nel fatto che non ci sono forme precostituite o già perfettamente sperimentate. Serve un grande impegno di discernimento e di intelligente individuazione delle modalità più adeguate alle singole situazioni, che nella diocesi sono molto diverse e non possono essere riorganizzate con un unico modello.

Quali sono i criteri di fondo che muovono le scelte? Quello missionario? O anche di tipo economico?

La preoccupazione principale è quella missionaria: consapevoli e appassionati dell’annuncio del vangelo nel nostro territorio, quali strumenti ci diamo? Considerando che tante parrocchie (la metà delle quali ha meno di mille abitanti) non sono più in grado di articolare autonomamente la proposta pastorale, come si possono condividere le risorse per un annuncio più efficace del vangelo ai ragazzi, ai giovani, alle famiglie, negli ambienti di vita?

È necessario sganciarsi dalla logica dell’emergenza e della riflessione basata solo sui preti che sono presenti con le loro caratteristiche personali: bisogna fissare bene i criteri per un’impostazione più stabile delle unità pastorali e delle collaborazioni tra parrocchie, indipendentemente dai preti presenti in un certo momento.

Per questo, in vista della strutturazione di nuove unità pastorali è necessario che il Vescovo sia aiutato da una riflessione sistematica che coinvolga i preti e i laici presenti sul territorio e il preti del Vicariato.

Tra i criteri generali per individuare i collegamenti tra parrocchie, ci sono l’appartenenza allo stesso territorio Comunale, l’esistenza di servizi pubblici comuni condivisi dalla popolazione, la presenza di scuole frequentate dai ragazzi di più parrocchie, le collaborazioni già in atto e ben assestate tra parrocchie vicine.

Si pone pure l’eventualità che, sulla base della considerazione delle collaborazioni o delle situazioni demografiche o sociali, si debba ripensare alla definizione dei confini tra le parrocchie o tra i vicariati, o addirittura tra diocesi vicine, confini pensati in tempi diversi e con esigenze diverse.

Su cosa si deve riflettere per impostare concretamente le Unità Pastorali?

Un po’ tutti gli ambiti della pastorale devono essere pazientemente considerati. Un primo aspetto è la razionalizzazione della celebrazione delle Messe, tenendo presente che la celebrazione eucaristica è fonte e culmine e centro propulsore di tutte le dimensioni della vita pastorale. Poi la valorizzazione di carismi e ministeri dei preti e dei laici e dei religiosi: c’è tanta ricchezza che già viene condivisa e si tratta di farlo sempre più organicamente. Si deve studiare anche il cammino verso l’elezione di un consiglio pastorale unico; nel frattempo si possono prevedere almeno alcune riunioni comuni dei consigli pastorali delle singole parrocchie. Analogamente si può pensare al mantenimento dei singoli consigli per gli affari economici, prevedendo alcune riunioni annuali comuni. Si rende poi senz’altro necessaria la condivisione delle risorse finanziarie, che può essere fatta attraverso lo strumento del prestito senza interessi, mantenendo normalmente i bilanci separati delle varie parrocchie. Si tratta poi di vedere l’organizzazione comune degli itinerari di formazione per tutte le fasce d’età e delle iniziative di carità e di annuncio sul territorio, salvaguardandone le tradizioni religiose. E attenzione va data pure all’utilizzo delle strutture parrocchiali più funzionali.

Influisce anche il numero sempre minore di presbiteri?

Il numero di presbiteri è sicuramente un dato significativo (sono il 25% in meno rispetto a trent’anni fa), che si inserisce però in una generale diminuzione della popolazione della provincia (circa 50.000 abitanti in meno rispetto a trent’anni fa), e al calo della frequenza nelle parrocchie. Riscontriamo una diminuzione anche degli operatori pastorali: anche nelle parrocchie più grosse si sente la fatica ad avere la disponibilità di catechisti ed educatori.

Il numero minore di presbiteri porta in modo particolare a riconsiderare gli aspetti del ministero, verso una situazione in cui i preti possono fare i preti, mentre gli altri battezzati assumono i servizi che lo Spirito suscita in un’esperienza sempre più ministeriale della comunità. Non si tratta semplicemente di delegare ai laici alcune funzioni solo perché il prete non riesce più a farle, sia sul piano dell’amministrazione, sia su quello della formazione o del servizio della carità. Le unità pastorali (ce lo ripete spesso il vescovo) possono essere occasione per vivere in modo ancora più autentico e specifico il servizio presbiterale.

I laici avranno un ruolo centrale nelle trasformazioni e saranno ancora più al centro negli assetti che si verranno a formare?

Tantissimi laici hanno già un ruolo centrale nella vita delle nostre comunità, e lo avranno sempre di più, in rispondenza alla loro propria vocazione di corresponsabilità sia nell’apostolato, sia nella vita di organizzazione interna delle comunità. È importante tenere presenti entrambe le dimensioni: il protagonismo dei laici credo debba essere prima di tutto nell’evangelizzazione, con il carisma che è loro tipico di un’animazione cristiana delle realtà di vita. Lì il prete non ci può essere. Ripensarci come chiesa, nella linea che dal Vaticano II arriva ad Evangelii Gaudium significa anche continuare a valorizzare la apostolicam actuositatem. È da questa passione per l’evangelizzazione che dovrebbe nascere anche la disponibilità rinnovata ai servizi interni alla comunità.

Per tutto questo, è necessario continuare un lavorìo di formazione mai esaurito. È necessario che i preti crescano in una formazione sempre più ‘diocesana’ dell’immagine del pastore, ed è necessario che i laici (specie gli operatori pastorali) spendano tempo per la loro preparazione teologica, biblica, ecclesiale. La Scuola di teologia iniziata in diocesi da qualche mese è un servizio molto importante e la partecipazione di oltre cento laici è un segno molto promettente nella linea di un’esperienza pastorale più profonda e intelligente, alla luce dello Spirito, che fin dagli inizi della vita della Chiesa (si veda il racconto degli Atti degli Apostoli) ha ‘inventato’ persone e forme di servizio.

In che modo le trasformazioni verranno discusse nelle parrocchie e nei vicariati?

Nell’incontro del Consiglio presbiterale dello scorso 27 novembre si sono messi a punto una serie di criteri per continuare la riflessione diocesana sulla nuova impostazione delle collaborazioni tra le parrocchie e le nuove unità pastorali. Ora la riflessione passa al livello parrocchiale e vicariale.

A livello parrocchiale (o di parrocchie che collaborano o di unità pastorale già esistente), entro febbraio 2020, ogni parrocchia o collaborazione/unità pastorale già esistente è invitata tramite il suo Consiglio pastorale, ad approfondire le considerazioni sulla situazione pastorale e sulle possibili collaborazioni con le parrocchie vicine, e valutando la possibilità di unioni più stabili e organizzate tra parrocchie. Questa fase è particolarmente importante e utile per coinvolgere il più possibile i laici sia nella semplice informazione a riguardo del cammino che la diocesi sta compiendo, sia nella riflessione comune che partecipa in modo sinodale al ripensamento delle strutture diocesane.

A livello vicariale, entro marzo 2020, negli incontri fra i preti del vicariato, si confrontano e sintetizzano i dati emersi dalle riflessioni delle singole parrocchie/unità pastorali, per confermare e potenziare le collaborazioni esistenti o per per proporre nuove forme di collaborazione/unità pastorale più stabili tra parrocchie. La riflessione di ogni vicariato sarà sintetizzata in una relazione da consegnare al vescovo possibilmente entro marzo 2020.

A livello diocesano, tutti i dati raccolti dalle parrocchie e i vicariati saranno oggetto di ulteriore riflessione nei Consigli diocesani (Presbiterale e pastorale, Collegio dei Consultori), in modo da arrivare, se possibile, alla tre-giorni di giugno 2020 con una proposta organica di riorganizzazione della geografia diocesana. L’attuazione della nuova impostazione non sarà necessariamente immediata, ma avrà un andamento graduale.

Andrea Musacci

Pubblicato sull’edizione de “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 gennaio 2020

Continua a leggere