8XMILLE, UNA FIRMA CHE FA BENE. Sono 236 le famiglie attualmente assistite dal Servizio di Accoglienza alla Vita di Ferrara.Vi raccontiamo la storia di una di queste donne aiutate, e di come i loro drammi vengono affrontati dalle volontarie, nell’ascolto e nel rispetto

di Andrea Musacci

La carità, se autentica, non ha bisogno, anzi rifugge ogni pubblicità. Per questo, raccontare ciò che rappresenta per il nostro territorio il SAV – Servizio di Accoglienza alla Vita è raccontare ciò che, con estrema discrezione e in modo anonimo, solo a tratti emerge, ma molto incide nella realtà. Senza nessuna vanteria, senza nessun intento moralistico o di proselitismo. Semplici testimonianze di donne aiutate, di bimbi nati anche grazie a un ascolto, a un sorriso, all’abbraccio di altre donne. Di una famiglia, appunto, com’è il SAV. 

Ed è anche grazie ai contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa Cattolica che tante mamme e i loro bambini vengono aiutati nei bisogni essenziali: pannolini, latte, vestitini. Ognuno, quindi, anche indirettamente, può aiutare tante vite a nascere, e tante donne a superare la propria solitudine, le proprie angosce. Perché accoglienza significa innanzitutto questo: la cura e la vicinanza nei primi mesi, nei primi anni di vita del bambino e, per la mamma, nel sentire che non è sola, che c‘è qualcuno che la ascolta, che le sta vicino, che la aiuta e la sostiene materialmente, economicamente, ma soprattutto con amore, nell’amore di Cristo.

OLTRE 200 FAMIGLIE ASSISTITE

Attualmente il SAV di Ferrara ha una 90ina di soci, di cui una 50ina di volontarie attive (quasi tutte donne) che seguono 236 famiglie. Assistente spirituale è don Paolo Cavallari della vicina parrocchia di Mizzana. La stragrande maggioranza delle donne assistite sono straniere, soprattutto nigeriane, e una parte di loro non ha un compagno o un marito, altre invece ce l’hanno ma non lavora o lo fa saltuariamente.

«Ciò che facciamo – ci spiega la presidente Alessandra Cescati Mazzanti – è pienamente nello spirito della legge 194 del 1978». Che, non a caso, ha come titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Ma molto spesso si ignora la prima parte, quella riguardante la maternità, appunto.

IL PRIMO COLLOQUIO 

Ascolto e prossimità sono le parole che meglio raccontano il SAV. E tutto parte dal primo, fondamentale, colloquio che la donna sceglie di avere con le volontarie. Il SAV mediamente di primi colloqui ne fa 2-3 ogni mese. In questi, le volontarie (almeno due) lasciano perlopiù parlare la mamma, che sia lei ad aprirsi, a raccontarsi. «Molto spesso, infatti – ci raccontano dal SAV -, queste donne hanno innanzitutto bisogno di qualcuno che le ascolti davvero, senza giudicarle. Non serve proporre loro i 200 euro del Progetto Gemma (progetto di adozione prenatale a distanza, da tanti anni curato da Oriana Schincaglia, storica volontaria, ndr), non devi convincerla coi soldi: la mamma dev’essere persuasa di non abortire, al di là del sostegno economico che potrà ricevere».

Il primo colloquio di solito è lungo, complesso, liberatorio: «bisogna creare il clima, fare in modo che la donna capisca che si può fidare di noi. Cerchiamo di capire la sua situazione, le sue paure, cosa l’ha spinta a prendere in considerazione l’aborto». Naturalmente, ogni caso è a parte: «c’è la donna che sta sulla difensiva, altre a cui viene più naturale aprirsi». Quasi sempre, queste donne arrivano al SAV tramite il passaparola. Così è stato anche per Teresa (nome di fantasia), che abbiamo incontrato.

UNA BIMBA NATA GRAZIE AL SAV

«Quando rimango incinta la seconda volta, nel 2016, non volevo tenere il bambino, non pensavo di farcela…». Le parole di Teresa sono quelle di tante donne che davanti alla scoperta di essere incinte, piombano nella paura, nell’angoscia, e vengono quindi tentate dal pensiero di abortire quella vita che il loro corpo già accudisce. «Allora non lavoravo, e nemmeno il padre dei miei figli. I miei genitori allora non mi sostenevano economicamente ma soprattutto affettivamente». Teresa, quindi, è più che mai decisa: «vado dal mio medico di base, una donna, perché volevo abortire: ma lei cerca di convincermi a non farlo, suggerendomi di contattare sua madre, una volontaria del SAV di Ferrara. “Loro ti aiuteranno, non ti devi preoccupare…”, mi diceva. Torno a casa e chiamo subito il numero che mi ha dato. Il giorno dopo in piazza Ariostea incontro Oriana e un’altra volontaria SAV». Un luogo informale, aperto, dove potersi sfogare. «Ho raccontato tutto, la mia vita, le mie paure. Prima la dottoressa poi le volontarie hanno fatto emergere qualcosa che avevo dentro di me, cioè il desiderio di non abortire. Non è vero che fossi così convinta di interrompere la gravidanza. Loro mi hanno dato una speranza. Non dimenticherò mai quell’incontro in piazza Ariostea, mi ricordo ancora com’ero vestita…». Grazie a quell’incontro nascerà una bimba che ora ha 7 anni. Nei suoi primi 18 mesi di vita, lei e Teresa saranno aiutate anche grazie al Progetto Gemma, oltre a vestitini, agli alimenti per la piccola, a giocattoli, e alla carrozzina e all’ovetto per l’auto in prestito. «Nel SAV ho trovato una seconda famiglia», ci racconta col cuore grato. «Da 1 anno lavoro, e così il padre dei miei figli», che nel frattempo sono diventati tre. «Chissà, forse un giorno tornerò qui al SAV come volontaria, quando i miei bimbi saranno più grandi. E se ne avrò l’occasione, sicuramente consiglierò altre mamme di non abortire e di chiedere aiuto al SAV».

AIUTO NEI CONSULTORI

Per alcune settimane i media del nostro Paese hanno ospitato accesi dibattiti sulla possibilità che volontari a tutela della vita possano entrare nei consultori pubblici per, eventualmente, proporre una valida alternativa alle donne che vi si recano per abortire. La miccia è stato il testo introdotto dall’attuale Governo al decreto “Pnrr-quater”. Un testo pienamente nel solco della legge 194 e molto simile, come abbiamo già scritto (La Voce del 26 aprile 2024, pag. 9), alle “Linee di indirizzo per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza” emanate dalla nostra Regione nel 2008. Una 30ina di anni fa alcune volontarie del nostro SAV si rivolsero al Direttore sanitario dell’Ospedale Sant’Anna per rendersi disponibile ad avere un punto informativo SAV nei consultori. La risposta, però, fu vaga, rimandando tutto alla futura nascita del Polo di Cona.

«Se ci verrà offerto di andare nei consultori, ci andremo», ci spiega la Presidente Cescati Mazzanti.

NEI DRAMMI DELLE DONNE

Consultori a parte, fondamentale rimane, anche a distanza di quasi 40 anni dalla nascita delSAV, il passaparola, e il contatto diretto con la donna in difficoltà.

«Mons. Malacarne, tra i fondatori del nostro SAV,  – ci spiega Oriana Schincaglia – ci raccontò il primo colloquio che ebbe con una donna intenta ad abortire», prima ancora della nascita del SAV. «Alla fine lei gli disse: “va bene, non abortisco, perché per la prima volta una persona mi ha ascoltato!”».

Oriana ci racconta anche il primo caso che dovette affrontare da volontaria: «la donna era al quinto mese di gravidanza, e non si era accorta di essere incinta. Parlando con gli assistenti sociali, mi dissero che c’era possibilità di farla partorire in ospedale nel più completo anonimato». Il bimbo è nato e poi è stato adottato. «Tante volte – continua Oriana – ho proposto questa soluzione alle mamme che volevano abortire, ma purtroppo non la accettavano. Capita – prosegue – che sono le nonne, non le mamme, a convincere le ragazze a non abortire. Ricordo, ad esempio, una donna in particolare, lasciata sola dalla madre in questa scelta, che poi ha abortito. Ogni volta che, poi, ci incontravamo, mi ripeteva: “ho dovuto fare quel che non volevo”. Nessuna delle donne che ho aiutato mi ha invece detto: “se avessi abortito sarebbe stato meglio”».

L’aborto non è mai un fatto positivo, per nessuna donna. È sempre un dramma. «Non passa giorno della mia vita che non ci sia un pensiero per questo bambino mai nato», ha confessato Simona Ventura, 59 anni, nota conduttrice tv, in una recente intervista sulla RAI parlando dell’aborto che scelse di fare quando, giovanissima, rimase incinta. L’aborto non è una cura anche se spesso viene fatto passare come tale. «E oggi – prosegue Oriana – con la pillola del giorno dopo è ancora peggio, perché la donna non ha più nemmeno il tempo per riflettere, ed è sempre più sola».

Proprio il contrario del SAV, luogo di accoglienza, dove nessuna donna è abbandonata.

Pubblicato sulla “Voce” del 17 maggio 2024

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