A quasi 9 mesi dall’invasione russa in Ucraina, anche in Italia non si placa il dibattito su una risoluzione giusta del conflitto: cosa dice il Catechismo, la nostra Costituzione, le vicende dei partigiani cattolici e il confronto su resa e resistenza

di Andrea Musacci

La guerra è ancora, nel XXI secolo, una drammatica costante dell’umanità. Secondo Caritas italiana vi sono almeno 22 guerre ad alta intensità, 6 in più rispetto al 2020, quando erano 15, a cui si è aggiunta quest’anno quella in Ucraina. Se si considerano anche le crisi croniche e le escalation violente, si arriva a 359 conflitti.

La feroce guerra scatenata dalla Russia di Putin in seguito all’invasione dell’Ucraina, ha finora causato la morte di quasi 8mila civili ucraini (ma potrebbero essere di più, se venissero scoperte altre fosse comuni), di cui 430 bambini, e 11mila feriti, come reso noto alcuni giorni fa dal Difensore civico ucraino, Dmytro Lubinets. Oltre 64mila i soldati russi uccisi, secondo il governo di Zelensky. I bimbi deportati in Russa sono invece 10.570, 14 milioni di persone sono rimaste senza casa, 6,2 milioni di cittadini sono diventati sfollati interni, 11,7 milioni sono rifugiati o hanno ricevuto protezione temporanea al di fuori dell’Ucraina. 

In questo orribile conflitto l’opinione pubblica italiana, come quella europea e mondiale, si trova, fin da febbraio, drammaticamente divisa. Il desiderio di pace si confronta con le ragioni della legittima difesa della dignità, della libertà e dei confini di un popolo martoriato come quello ucraino. Ma vediamo cosa dice la Chiesa al riguardo.

Legittima difesa e vera pace

Nel Catechismo della Chiesa cattolica si legge al n. 2263: «L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale: “Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita […]”» (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae) (n. 2264). Ma la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un dovere: «La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità» (n. 2265). Parole chiare, per quanto vadano interpretate a seconda dei casi concreti.

Costituzione e Resistenza

Sul delicato tema della liceità morale e giuridica dell’uso della violenza come risposta a un’aggressione, è utile anche andare a vedere alcuni testi su cui poggia una sana convivenza. Innanzitutto a livello globale. Lo Statuto delle Nazioni Unite (giugno 1945), all’articolo 51 recita così: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Si parla, quindi, in modo netto, di «diritto naturale di autotutela» collettiva. Lo stesso articolo 11 della Costituzione italiana sottolinea come il nostro Paese «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Ciò che ha fatto la Russia ai danni dell’Ucraina. E, prosegue, «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Fondamentale è anche questo passaggio dove «pace» e «giustizia» vanno di pari passo. Come a ribadire che non vi può essere l’una senza l’altra.

Mi lego alla nostra Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo per citare alcune riflessioni dello storico Daniele Menozzi riguardanti la difficilissima scelta, da parte dei partigiani cattolici, di usare violenza contro l’invasore. «Il partigiano cattolico – scrive – (…) può uccidere come il soldato, in quanto lo fa senza odio», soprattutto perché, «per amore di Cristo, giunge a rigettare quell’estetica della violenza e del sangue purificatore che caratterizza i nazisti ed è stata pienamente introiettata dai fascisti». Le varie formazioni cattoliche, continua, erano poi convinte che ciò servisse per «difendere la patria, la Chiesa, la comunità di provenienza», e per «preservare le condizioni per la prossima ricostruzione di una società cristiana». (Nonviolenza e legittima difesa, “Il Regno”, settembre 2021).

Ucraina: il dibattito su male minore e male necessario

Né cinici né ingenui: viene da pensare, quindi, che il giusto atteggiamento da avere sia questo. La vita, propria e degli altri, va difesa e tutelata, ma è necessario, sempre, in una situazione critica di conflitto, come ogni giorno, essere “artigiani di pace”. Coltivare la pace, amare i propri nemici, e, facendo questo, già non considerarli più come tali. Al tempo stesso, far crescere dentro di sé quella forza interiore, quell’equilibrio, quella profondità spirituale che ci permetta di riconoscere il male, di non ignorarlo né sottovalutarlo, ma di saperlo combattere con le armi di volta in volta più consone, urgenti e necessarie. 

Non si tratta di non credere nel bene e nella pace, ma di non coprire con finta ingenuità o buona fede, una mancanza di senso della realtà, di capacità di comprenderla, pur nella sua radicale complessità. Complessità che ha scatenato, forse come non mai, anche nel nostro Paese, un dibattito acceso con posizioni differenti anche all’interno delle stesse Chiese o aree politiche.

«È essenziale schierarci per la pace», scrive Marco Tarquinio su “Avvenire” del 5 novembre scorso. E «farlo con tutta la possibile capacità di resistenza al fascino dello scontro armato e senza quartiere, condotto sino in fondo con l’orgoglio delle proprie ragioni. Lo dico ancora una volta: le guerre hanno sempre ragioni, ma non hanno ragione. E, come dice il Papa, sono ormai pura atrocità e pura follia. L’unica vittoria possibile è solo far finire il massacro».

Una posizione, questa di Tarquinio, in parte differente rispetto a quella di altri opinionisti, sia laici che cattolici. «Dichiarare che ci si deve arrendere all’aggressore, al male, perché così fa meno male, non corrisponde né alla teoria del “male minore”, né a quella della “nonviolenza”», scrive Gianfranco Brunelli. «Oggi il male minore è aiutare gli ucraini a difendersi; e la nonviolenza è essere presenti come resistenza attiva, ancorché non armata, per aiutarli a sopravvivere. Sono queste le scelte possibili. Il pacifismo che chiede la resa agli aggrediti, che cerca di dare ragioni a Putin per una trattativa indifferente a ogni valore in gioco è un pacifismo finto» (Un’altra “inutile strage”, “Il Regno”, aprile 2022). Sulla stessa lunghezza d’onda, Furio Colombo: «Siamo rapidamente discesi, lungo una scala bene organizzata, dal livello dell’invasione armata di un Paese indifeso a quello della difesa deliberatamente messa in atto perché ci sia più guerra. Ovvio che questa incredibile situazione non è un progetto del pacifismo come valore e come speranza», ma «un trappolone» di chi è rimasto legato al vecchio antiamericanismo (Ucraina-Russia, chi dimentica le vittime, “Repubblica”, 4 giugno 2022).

Articolo pubblicato su “La Voce” del 18 novembre 2022

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