“Racconti della Valle delle Tagliole” è un omaggio al regno animale e alla bellezza di un mondo ormai lontano

La natura come scuola di vita, i cui insegnamenti rimangono indelebili nella memoria. Don Vittorio Serafini in questi giorni dà alle stampe la sua nuova fatica letteraria, dal titolo “Racconti della Valle delle Tagliole” (Gruppo Albatros Il Filo, Roma, 2023): 25 fra storie, leggende, racconti legati a più di trenta animali che nel passato e nel presente hanno animato ed animano la Valle del modenese, luogo d’infanzia – quindi dell’anima – del parroco di Quartesana. 

IL libro sarà disponbile da fine mese nelle maggiori librerie di Ferrara e negli store on line. Abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

Don Vittorio, è un libro, se così possiamo dire, sulle orme di San Francesco, perché animato da questo amore sincero per i “fratelli animali”. Da dove nasce questo suo sentimento?

«Nasce negli anni della mia infanzia, quando abitavo nella Valle delle Tagliole, dove sono ambientati i venticinque racconti del mio libro. Avevo un padre che di mestiere faceva il pastore e con la sua passione mi ha educato al rispetto ed all’amore nei confronti degli animali. Possedeva trecento pecore, cinque cani paratori ed una cavalla. Mia madre invece allevava conigli e galline. Insomma nei primi anni spensierati della mia vita ero giornalmente a contatto con un piccolo zoo. Quello che ho sempre davanti agli occhi è l’abilità e la professionalità di mio padre. Alla sera, quando il gregge rientrava all’ovile e cento agnelli belanti cercavano la propria madre, vi assicuro che tutto appariva come un grande caos. Mio padre allora, in poco tempo, con pazienza riconosceva le madri e ad una ad una consegnava il proprio agnellino. L’amore di mio padre per il mondo animale mi è rimasto impresso dentro». 

Un grande amarcord personale, dunque. Perché ha sentito il bisogno di riandare, attraverso i racconti, a quell’età della sua vita?

«Dicono che gli anni dell’infanzia possono segnare il carattere di una persona. Oggi i ragazzi, con i mezzi a disposizione, pensano di avere il mondo in mano. Attraverso internet in un attimo spaziano dall’Europa all’Australia. Io invece, durante l’infanzia, credevo che tutto il mondo fosse legato alla Valle delle Tagliole che si estendeva per trenta km in lunghezza e quindici in larghezza. Ci si entrava da nord e poi si era circondati da un piccolo anfiteatro fatto di montagne. Non era possibile uscire dall’altra parte della valle. Per incontrare gente diversa dai residenti bisognava uscire fuori dai monti. Per i nativi del luogo il mondo era tutto lì. Noi ragazzi eravamo liberi di girare l’intero giorno nei boschi, dove incontravamo gli animali protagonisti nel libro. La natura era una vera scuola di vita. Ho sentito il bisogno di riandare con il ricordo alla mia valle perché è una nostalgia incancellabile dopo cinquant’anni di sacerdozio. 

Per comprendere tutto questo, cito una frase del poeta Giovanni Pascoli: “Ma un poco ancora lascia che guardi / l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo… lasciami immoto qui rimanere / fra tanto moto d’ali e di fronde” (L’ora di Barga)».

Qual è l’intento pedagogico dei racconti?

«Ognuno vuole offrire un insegnamento per l’uomo oltre che una breve descrizione dell’animale trattato. Osservando attentamente la vita degli animali non solo si ricevono lezioni sull’amore, la fedeltà, la compassione, l’umiltà, ma ci si sente spinti ad interrogare la propria coscienza e a provare ad essere migliori».

E se dovesse scegliere, qual è l’animale fra quelli protagonisti del volume, che la rappresenta meglio come “personalità”?

«Non ho dubbi: il cavallo. L’aggressività non fa parte della natura del cavallo. Tuttavia quando si sente in pericolo o maltrattato si fa rispettare con tutti i mezzi. Quando però avverte un rapporto basato sul rispetto è disposto ad una relazione profonda di amicizia. Io sono fatto così. Tutto questo è messo in risalto nel terz’ultimo racconto, intitolato: “Storia della cavalla Stella e del suo padrone Orlando”. Un secondo animale che mi rappresenta è certamente il cane, ma per comprendere questo lascio ai lettori l’impegno di comprendere attraverso il mio primo racconto “Il cane Ferro che non voleva entrare in paradiso”. Sembra strano, ma a questo cane è un poco legata la mia vocazione di sacerdote».

Articolo pubblicato su “La Voce” del 17 febbraio 2023

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