Un’altra storia di accoglienza grazie alla Papa Giovanni

di Caterina Brina*

Si chiamano Naffyra, Amida e Shorab con la loro piccola, Mohammad Reza, Rose con il piccolo Prince, Tatiana, Mohammed, Guy con Richel e il loro bimbo in gestazione, Fofana, Denny e molti altri. Vengono da Afghanistan, Iran, Nigeria, Camerun, Ucraina, Marocco, Mali, Gambia…. Sono i fratelli e le sorelle, grandi e piccoli accolti negli ultimi tempi nelle case e nelle strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII di Ferrara. Sono volti, nomi, storie, sorrisi e lacrime, con le quali facciamo “famiglia” ogni giorno condividendo non solo il nostro tempo. Così cerchiamo di diventare madre e padre o fratello e sorella di chi ha bisogno di una famiglia, di ristoro in una vera casa, di studio e lavoro per progettare il proprio futuro e darsi una nuova opportunità. Lo facciamo attraverso il dono della nostra abitazione e delle nostre relazioni, della nostra intimità domestica, mettendo la nostra spalla sotto la croce di chi non l’ha scelta per provare a portarla insieme.

Le nostre case e le nostre strutture nella provincia di Ferrara accolgono ormai da qualche anno, insieme a tanti italiani soli o minori e disabili, fratelli e sorelle venuti da lontano. Con storie molto pesanti. Siamo a Pescara di Sabbioni, Casaglia, Malborghetto di Boara, Denore, Fiscaglia, Cento.

La storia del nostro Mohammad Reza è emblematica: lui è un neo-maggiorenne. È arrivato da Esfahan, una città nel centro dell’Iran, da cui è fuggito a piedi 2 anni e mezzo fa per mancanza di futuro, di libertà e per la violazione di diritti umani fondamentali. Con sua sorella, allora diciottenne, hanno raggiunto il confine Nord del suo Paese con la Turchia, l’hanno attraversata tutta camminando di notte nei boschi e nei campi, mangiando quello che trovavano e che compravano con i pochi risparmi che la madre aveva loro consegnato alla partenza, lavorando in una discarica per racimolare qualcosa e poter ripartire un’altra volta verso la porta dell’agognata e ricca Europa. Da Istanbul e poi passando per Idirne è entrato clandestino in Grecia. Lì è stato arrestato perché privo di documenti, e dopo 3 mesi di detenzione nelle galere greche, non certo adatte ad un minorenne, è riuscito ad essere spostato a Salonicco in un sovraffollato campo profughi finanziato dall’Unione Europea, dove, dopo alcuni mesi di convivenza terribile, come 17enne è riuscito a venire inserito in un progetto per minori ed arrivare ad Atene. Da qui, la sua salvezza: attraverso i corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio, è stato imbarcato ed è arrivato in tutta sicurezza a Roma. Infine, attraverso la collaborazione delle due comunità, Sant’Egidio e Papa Giovanni XXIII, è approdato in una delle nostre Case-famiglia a Ferrara. Ora va a scuola al CPIA per imparare la lingua italiana, lavora part-time nella Cooperativa “La fraternità APGXXIII” per i servizi ecologici in città (svuotamento cassonetti abiti usati in appalto con Hera) e studia per ottenere la patente B. Ha fortunatamente ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato politico dalla Commissione per il riconoscimento della Protezione Internazionale e ora sta seminando per il suo futuro, per la sua integrazione, con la speranza di una vita migliore.

Mohammad Reza poteva essere esattamente una di quelle disperate persone della strage di Cutro, naufragate a cento metri dalle coste calabre; poteva ora giacere sul fondo del Mediterraneo, come scandalosamente è accaduto a tanti suoi connazionali, ai tanti afghani, pakistani e siriani adulti e bambini che nella traversata hanno trovato la morte. E invece, grazie ai corridoi umanitari e alla rete delle Associazioni, Mohammad ha di nuovo tutta la sua vita davanti. Alla fine, paradossalmente, nonostante tutto, è stato fortunato, lui.

Crediamo che la nostra identità passi attraverso il valore sacrosanto della fraternità perché abbiamo un solo unico Padre. Siamo un unico popolo, il popolo dell’umanità. La consapevolezza di essere tutti connessi non è sufficiente, se non si apre alla qualità di questo legame, cioè alla responsabilità reciproca a tutti livelli, da quello personale, che resta insostituibile, a quello strutturale e istituzionale, fino a quello delle relazioni internazionali. Per questo ci battiamo, anche a livello nazionale, per la rimozione delle cause che creano le ingiustizie, chiedendo politiche adeguate dei flussi e dei corridoi umanitari.

Per questo ci sentiamo pienamente in sintonia e appoggiamo il nostro Vescovo Gian Carlo Perego quando parla di aprire nella nostra città un ingresso attraverso il quale mettersi in relazione con il mondo, valorizzando anche l’accoglienza di persone che hanno bisogno di casa, scuola, lavoro, terra. 

*Responsabile della Zona Emilia della Comunità Papa Giovanni XXIII

Articolo pubblicato su “La Voce” del 24 marzo 2023

Abbonati qui alla nostra rivista!

Continua a leggere