30 settembre 2019

La testimonianza di giovani di diverse parrocchie

Il richiamo dell’Africa era da tempo troppo forte per tutti noi, desiderio realizzato nell’agosto di questo anno con un importante viaggio: siamo Beatrice dalla parrocchia di Quacchio, Pietro da Santa Caterina Vegri, Lorenzo e Samuele da Malborghetto e Chiara da Masi Torello, guidati da suor Doreen – di origine kenyota – che presta servizio da più di dieci anni presso l’asilo parrocchiale di Pontegradella.

La destinazione è stata la parte interna del Kenya. Precisamente abbiamo vissuto tre località per le tre settimane di permanenza: la capitale Nairobi, accolti presso le suore dell’Ordine Francescano del Cuore di Gesù, Chebukaka, villaggio ove siamo stati ospiti in parrocchia da due energici sacerdoti, infine Bungoma, città principale di riferimento del villaggio di suor Doreen. Il desiderio scatenante del viaggio era quello di immergersi profondamente in un popolo, conoscendone a fondo cultura, tradizioni, dinamiche, gioie e difficoltà. Ad un mese di distanza dal viaggio, non possiamo dire che non sia stato così: ci siamo buttati e ne siamo riemersi più arricchiti di prima.

L’obiettivo era “diventare” missionari per un mese, in un modo “terzo” dal nostro, in cui fossimo chiamati a “dare”. Questo nostro iniziale piano – con grande sorpresa – è però stato tracciato da due importanti scoperte durante il percorso: prima di tutto non “diventavamo” missionari in quel momento, partendo per quella destinazione, ma continuavamo ad indossare la veste della missione, lo facevamo in maniera diversa. Secondariamente, non andavamo solo a “dare” in qualità di giovani fortunati in terre più deprivate, ma avremmo attivato uno scambio, ove quel che abbiamo dato alla fine è stato pari o inferiore a ciò che abbiamo ricevuto.

Alcuni flash di sintesi: abbiamo trascorso giorni prestando servizio presso una scuola cattolica, gestita dall’Ordine di cui fa parte suor Doreen. Lì abbiamo incontrato bambini pieni di vita, nonostante il quotidiano contesto di miseria; bambini attivi, pronti a cogliere sollecitazioni dall’esterno, desiderosi di relazionarsi con il “bianco” e di imparare. Abbiamo conosciuto insegnanti e suore capaci di mettersi al servizio, offrendo semplicemente tutto se stessi davanti alle difficoltà e ai travagli insiti in quel luogo: l’impressione è che nulla li fermi, nulla li ostacoli nell’essere sempre in prima linea a dare ciò che sono. Infine, abbiamo trascorso una settimana presso il villaggio nativo di suor Doreen, vivendo anche il funerale del suo papà. Tutto ciò che questa gente è, può essere sintetizzata nell’esperienza del dolore per la perdita che abbiamo osservato: un inno alla vita, fatto della capacità di riconoscere che dietro ciascuna persona e ciascuna esperienza – anche difficile – c’è sempre stato un passato importante ed un presente fatto di famiglia, di persone, di relazioni, di condivisione. Sopra ogni cosa, qui abbiamo sperimentato che la gratuità e la missionarietà passano anche attraverso il non avere nulla da dare, ma nella capacità di starci, di esserci, di far avvertire la propria presenza.

“La missione per essere tale deve sorprendere, sbaragliare i piani precostituiti, stravolgere”, così ci hanno preparato al viaggio. Nulla di più autentico. “Maestro che devo fare per ereditare la vita eterna”? (Lc 10, 25): se essere missionari è una questione di fede, dobbiamo far sì che la missione irrompa nella nostra quotidianità di giovani, per anunciare il Vangelo con la vita, prima ancora che con la parola.

Doreen, Chiara, Beatrice, Pietro, Samuele, Lorenzo

Pubblicato sull’edizione de “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 27 settembre 2019

http://lavoce.epaper.digital/it/publicazioni/133-la-voce/riviste

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