Si è da poco conclusa la fase valutativa dei 23 elaborati pervenuti nell’ambito del “Primo concorso di narrativa inedita” per scuole FISM e famiglie con bambini in età 0-6 anni. C’è stata grande soddisfazione da parte dei giurati che hanno riscontrato testi di buonissima qualità sia sotto il profilo contenutistico che stilistico. In particolare, va messo in evidenza il forte impatto emotivo ed etico dei racconti, i quali, con un linguaggio molto semplice e fantasioso adatto alla fascia d’età cui si rivolgono, esprimono valori importanti, come l’amicizia, l’amore, il senso di comunità, l’inclusione ed il rispetto per l’altro e la natura, delineandosi come storie che raccontano di sentimenti e di azioni.

Le scuole dell’infanzia che hanno partecipato inviando o facendo inviare tra il 4 marzo ed il 2 maggio a genitori o persone a loro affezionate uno o più testi, sono state 15. 5 di loro hanno partecipato con racconti scritti dagli insegnanti coadiuvati dai bambini. Questo ha permesso il coinvolgimento totale nella stesura dei racconti di circa un centinaio di bimbi dai 3 ai 6 anni.

Il concorso è stato organizzato dalla FISM provinciale di Ferrara nell’ambito del progetto “Il coraggio di educare” finanziato con la D.R. 2405/2019 che prevede la realizzazione di percorsi innovativi volti, tra i vari obiettivi, anche al coinvolgimento delle famiglie nella vita della scuola. Esso è stato preceduto da un ciclo di 5 incontri formativi sul tema della narrazione, condotti tra novembre 2020 e marzo 2021, dal noto scrittore di narrativa per l’infanzia Luigi Dal Cin e rivolti sia al personale in servizio nelle scuole FISM che ai genitori dei bambini iscritti.

La giuria del concorso, presieduta da Elisa Gottardo (coordinatrice pedagogica FISM) e composta da Gian Pietro Zerbini (redattore de “La Nuova Ferrara”) e  Andrea Musacci (redattore de “La Voce di Ferrara-Comacchio”) ha decretato i 4 lavori vincitori che riceveranno dei premi a supporto della didattica a scuola:

1° premio –  “Tanto grande e così piccolo” di Marcella Figuccio e Chiara Bonati, insegnanti della scuola “Sacro Cuore” di S. Agostino

Dentro a una scatola molto piccola ma abbastanza grande, abitava il popolo degli Impensabili.

Tutti gli abitanti erano molto piccoli, ma abbastanza grandi per poter indossare tutte le corone che desideravano. Il Re ne portava addirittura 100. Tutte insieme!

Corone d’oro, corone di brillanti, corone di spade e corone di fiori. Corone pesanti e corone leggere. Corone di caramelle e corone di cuscini. Corone per i giorni belli e corone per i giorni storti. Agli Impensabili infatti, piaceva indossare tutte le corone che volevano.

Al popolo degli Impensabili piaceva molto stare dove stava. La loro scatola non aveva buchi dai quali poter prendere freddo e le strade erano tutte dritte. Arrivavi subito dove volevi andare… impossibile sbagliare! Le case erano tutte rotonde, non avevano neanche uno spigolo e nemmeno il miglior zuccone sapeva dove sbattere la testa. Persino il tempo non ti correva dietro e potevi riempirlo ogni mattina in modo nuovo.

Ma un giorno, uno strano giorno… la scatola si bucò.

Il buco era molto piccolo,  ma abbastanza grande per far cadere fuori tutto il popolo degli Impensabili in un colpo solo.  In un baleno si trovarono in un posto molto grande, ma troppo piccolo. Qui infatti, non erano soli. Ecco perché era troppo piccolo!

Non era solo uno strano giorno, era anche uno strano mondo. Nessun abitante infatti indossava la corona. Molti avevano la tosse, la febbre, stavano tutto il giorno a letto ed erano così stanchi che non riuscivano nemmeno a fare niente.

Questi strani abitanti erano molto alti, ma diventavano piccoli per la paura che avevano. Così impauriti che si travestivano per non farsi riconoscere.

Finalmente, dopo 7 Mattine, 7 Pomeriggi e 7 Sere il Re degli Impensabili vide da lontano un abitante senza travestimento e la cosa era così straordinaria perché addirittura sembrava indossare una corona. Tutto il popolo allora si precipitò per godere di quello spettacolo.

Un passo lento, un passo veloce…. EEETHCIU’!  Un passo curioso, un passo prudente… COF-COF! Un passo che assomigliava a un salto e tanti passi tutti insieme. Eccoli arrivati..

Da vicino sulla sua testa si riconoscevano tante lenti d’ingrandimento, nella sua tasca aveva un microscopio e davanti agli occhi 2 occhiali molto eleganti. Era sicuramente uno scienziato… ed era sicuramente l’abitante giusto a cui chiedere aiuto.

Gli Impensabili iniziarono allora ad urlare chiamandolo a squarciagola, ma lui non sembrava nemmeno accorgersene. L’Impensabile con le corone di spade gli saltò addosso per primo, si appese ai suoi capelli e aiutò tutti gli altri a salire. Quando furono sopra di lui, lo scienziato non riuscì più a reggersi in piedi, barcollò e inciampó.. così facendo alcuni Impensabili finirono dentro al suo naso.

A quel punto, si udì lo starnuto più potente di tutti gli starnuti potenti, talmente potente che tutti ruzzolarono potentemente a terra.

Lo scienziato un po’ frastornato si rimise in piedi. Scrollò il microscopio e lo mise in tasca, soffiò sugli occhiali e li posò sul naso, strofinò le lenti, ma non le mise sulla testa, perché qualcosa attirò la sua attenzione. Anzi no.. qualcuno! Qualcuno di molto piccolo che per essere visto servivano un microscopio e tre lenti una sopra l’altra. Il popolo degli Impensabili pensò di essere stato finalmente trovato!

In verità tutti sapevano che il popolo degli impensabili gironzolava per le loro strade. Ecco perché si nascondevano dietro ai travestimenti! Il popolo degli Impensabili era conosciuto, infatti, per provocare malanni di stagione a chiunque li avesse incontrati da molto vicino.

Lo scienziato allora li raccolse uno ad uno e li portò nel suo laboratorio. E proprio perché era uno scienziato sapeva che dove c’è un problema c’è sempre la sua soluzione. E lui voleva trovarla! Immaginatevi dover andare in giro con un travestimento anche d’estate, con il caldo! O fare una gita dentro al bosco impigliandosi in tutti i rami! Certo è divertente andare al parco, sulle altalene  o sullo scivolo sentendosi supereroi, però poi se incroci un amico e non ti riconosce, ci rimani male perché non ti saluta!

Dopo 7 Lune, 7 Soli e 7 Temporali, lo scienziato aveva i capelli lunghi e appiccicosi, gli occhiali sbilenchi e le lenti tutte appannate, ma ce l’aveva fatta! Aveva capito come fare!  Bisognava trovare un posto abbastanza grande, ma non troppo piccolo per starci tutti… anzi no… il posto già lo avevano! Dovevano soltanto trovare un modo per starci tutti comodi.

Fu così che si riunirono tutti per parlare. Servirono 7 Litigate, 7 Paci fatte e 7 merende tutti insieme, ma riuscirono a concordare le loro nuove comode regole.

In questo posto si poteva aspettare il proprio turno. Si riusciva a fare la fila senza spingere gli altri e si poteva parlare quando gli altri ti stavano ascoltando. Ci si poteva fermare e dare la precedenza. Se un posto era troppo affollato potevi anche aspettare fuori… sentendo il tempo che stava passando.

Così quella scatola molto piccola ma abbastanza grande si era rotta.

E quel posto molto grande, ma troppo piccolo non sembrava alla fine tanto grande e così piccolo perché dopo 7 Tramonti, 7 Albe e 7 Colazioni… erano davvero capaci di stare tutti comodamente insieme.

PS: ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti non è puramente casuale!

2° premio – “Hai paura di Bracabarak?” di Massimiliano Bighi insegnante del “Centro Educativo Arcobaleno” – Ferrara

C’era una volta Piccolo Naso.

Piccolo Naso camminava per il mondo, annusandone tutti gli odori. Annusava i fiori che sapevano di primavera, gli alberi che profumavano di natura e il mare che sapeva di sale.

Annusava le finestre da cui usciva odore di polpette, torte al cioccolato e frittelle.

Odorava le nuvole, che gli riempivano le narici con la loro morbida fragranza.

Inspirava l’odore caldo del sole.

Annusava anche le preoccupazioni sudate e le euforie più scalmanate.

Un giorno, però, iniziò a sentire un odore strano. Un odore sgradevole. Un vero e proprio puzzo ripieno di muffa, piedi sporchi, marciume e vomitevole acqua salmastra. Da dove proveniva si chiedeva Piccolo Naso?

Intanto, Piccolo Orecchio attraversava la terra ascoltandone i rumori e i suoni. Ascoltava i canti

melodiosi degli uccelli, i profondi mugolii delle onde e le ritmiche folate di vento.

Ascoltava i rumori fastidiosi del traffico più intenso e i suoni rilassanti delle praterie più sconfinate.

Origliava i pensieri più affannati e le riflessioni più profonde.

Ascoltava il rumore dei battiti accelerati degli innamorati e di quelli rilassati degli addormentati.

Riusciva ad udire perfino i bisbigli delle stelle, le urla di gioia delle gocce di pioggia, quelle emozionate dei fulmini e i brontolii dei tuoni.

Ascoltava i germogli crescere e i tulipani sbocciare.

Un giorno, però, iniziò a sentire un grugnito pauroso, passi pesanti e brontoloni, uno stridio di denti aguzzi, un rauco e sommesso gorgoglio mostruoso. Da dove proveniva si chiedeva Piccolo

Orecchio?

Nel frattempo, Piccola Lingua stava allegramente assaggiando tutti i gusti del globo.

Assaggiava la dolce e fresca frutta di stagione, degustava le bevande più frizzanti e le tisane più

speziate.

Mangiava deliziosi piatti conditi e succulenti contorni grigliati.

Succhiava la fumosa nebbia e l’umido nevischio.

Assaggiava i caldi abbracci delle mamme e le scherzose battute dei maestri.

Leccava la notte e si riempiva con grandi boccate di tramonti e pleniluni.

Un giorno, però, iniziò a leccare qualcosa di unto, grande, molliccio, ispido e amaro. Sapeva di verde, nero, viola, blu e grigio. Sapeva di paura. Da dove proveniva quel gusto così orribile si chiedeva Piccola Lingua?

Nel mentre, Piccola Mano, tastava qua e là, le protuberanze e le rientranze della terra.

Passava sopra le catene montuose e le cime tempestose, palpava le colline più soffici e le terra più umida, si scottava sulla sabbia più calda del deserto e rabbrividiva sul ghiaccio gelato dei Poli.

Accarezzava i dorsi dei delfini e dei cammelli, le pance delle scimmie e le ali delle farfalle.

Spettinava le fronde degli alberi e si intrufolava nelle caverne più nascoste e profonde.

Sbatteva contro i muri dei palazzi, toglieva l’umidità dai vetri delle macchine e grattava le teste pelate dei papà.

Batteva il tempo sui pavimenti, si impolverava nelle cantine misteriose, costruiva castelli di sabbia e dava poderose pacche sulle spalle ai passanti distratti.

Toccava le canzoni più romantiche e le promesse più sdolcinate.

Sfiorava l’eco dei burroni e puliva dalle lacrime le facce dei bambini.

Ticchettava sulla schiena impaziente del tempo e tamburellava sulla pancia del cielo.

Un giorno, però, iniziò a toccare un ammasso di peluria e bozzi, squame e fanghiglia, muco e polvere. Da dove veniva mai quel gigante orripilante?

Nello stesso momento, Piccolo Occhio stava scrutando nei meandri più nascosti del mondo e godendosi i panorami più mozzafiato.

Squadrava gli abitanti del mondo e restava a guardare lo svolgersi delle loro giornate.

Osservava il muoversi delle nuvole e immaginava a cosa potessero assomigliare.

Si godeva la vista di oceani, savane, deserti e pianure.

Guardava dentro i sogni e le speranze dei bambini e sbirciava dentro gli incubi e le paure più buie delle persone.

Intravedeva i limiti del cielo e ammirava lo sprizzare pazzo di idee per tutto l’universo.

Un giorno, però, trovò le sue dita incastrate tra le cespugliose pieghe di un orrendo, gigante, enorme mostro tuttopeli. Da dove saltava fuori quell’abominio?

Piccolo Naso, Piccolo Orecchio, Piccola Lingua, Piccola Mano e Piccolo Occhio erano impauriti. Ma

che dico impauriti, erano spaventati. Ma che dico spaventati, erano terrorizzati. Ma che dico terrorizzati, stavano già correndo via, tremando come foglie al vento, come maracas scosse, come denti da latte pronti a cadere.

D’un tratto, incontrarono Piccolo Cuore.

Piccolo Cuore era dolce, sensibile e tranquillo. Sapeva sempre cosa dire e cosa fare, come dirlo e

come farlo, quando dirlo e quando farlo.

Piccolo Cuore riconobbe subito i suoi amici e li fece fermare.

Piccolo Cuore chiese: “Amici, cosa vi ha spaventato tanto?”

Piccola Lingua rispose a nome di tutti: “Abbiamo incontrato il mostro più orrendo di sempre!!!

Dobbiamo scappare!”

Piccolo Cuore continuò: “Perché volete scappare?”

E i cinque piccoli amici risposero: “Perché non abbiamo mai visto, toccato, sentito, odorato né

annusato una cosa più brutta di quella! Sicuramente vorrà farci del male!”

Piccolo Cuore allora disse: “Voglio conoscere questa cosa che vi fa così tanta paura. Portatemi da

lei!”

E così, riluttanti, tremanti, balbettanti, zoppicanti e insicuri, i piccoli amici tornarono sui loro passi seguiti da Piccolo Cuore, sorridente e tranquillo come sempre.

Dopo poco Piccolo Occhio vide il grande mostro da lontano, Piccolo Orecchio sentì i suoi passi pesanti e Piccolo Naso annusò il suo puzzo tremendo; Piccola Lingua era troppo impaurita per parlare e Piccola Mano tremava dalle unghie alle nocche.

Si avvicinarono cauti, rannicchiati e nascosti dietro Piccolo Cuore.

Appena il mostro li vide alzò in aria le sue braccia sconfinate, agitandole al vento ed emise un

sordo e tenebroso grido: “BRACABARAAAAAAAAAAAAK!!!!”

I cinque amici quasi svennero per lo spavento e iniziarono a dileguarsi in ogni direzione, più veloci che potevano.

Solo Piccolo Cuore restò fermo al suo posto, sorridente e tranquillo, e fu proprio lui a parlare per

primo: “Buongiorno!” disse, rivolto al mostro. “Cosa ti porta in questa parte di mondo?”

Il mostro era sbigottito. Si fermò, stupito dal tono gentile di quel piccolo essere cicciottello.

Nessuno gli aveva mai rivolto la parola prima e non sapeva bene cosa rispondere.

“Ehm…Io…Ahhh… Ehm…Cioè…” Iniziò balbettando il mostro.

“Non temere” incalzò Piccolo Cuore, “siamo amici, non vogliamo farti del male. Come ti chiami?”

“Bè, io mi chiamo Filippo, ma tutti mi chiamano Bracabarak”

I cinque amici, intanto, si erano fatti sempre più vicini. La puzza non era poi così insopportabile e

neanche l’aspetto era poi così male. La paura stava piano piano svanendo lasciando posto alla curiosità.

Piccola Lingua si fece coraggio: “Perché ti chiamano Bracabarak?”

Filippo rispose titubante: “Dovete sapere che non ho mai avuto amici. Tutti mi hanno sempre scansato sin da quando ero piccolo. I miei peli erano più lunghi di tutti, la mia voce era più profonda delle altre, la mia altezza è sempre stata spropositata… All’inizio questo mi dispiaceva e mi faceva star male, poi ho iniziato a divertirmi spaventando le persone. Se loro non volevano stare con me, bè neanch’io volevo stare con loro. Da allora, ogniqualvolta passo vicino a qualcuno faccio del mio meglio per spaventarlo. Sbatto i piedi per terra, emetto un tanfo insopportabile, mi ergo in tutta la mia statura e grido forte Bracabaraaaaak! Nessuno mi si è mai avvicinato! Voi siete i primi dopo tanto tanto tempo”

Piccolo Cuore, sorridente, disse: “Mia mamma, Piccola Anima, mi ha sempre insegnato ad essere

gentile. A me non importa ciò che sembri, ma chi sei. E sono sicuro che conoscendoti meglio, anche i miei amici smetteranno di avere paura di te. Ti va di fare due passi insieme, Filippo?”

Filippo era esterrefatto. Mai nessuno era stato così gentile ed educato con lui. E se aveva paura, bè non lo dava di certo a vedere. “Vuoi davvero dire che posso avere degli amici anch’io?” pensò

Filippo, mentre una piccola lacrima verde usciva dai suoi grandi occhi strabici.

Nel frattempo, Piccolo Naso, Piccola Lingua, Piccolo Orecchio, Piccola Mano e Piccolo Occhio si erano messi tutti uno sopra l’altro, sorretti da Piccolo Cuore. Adesso erano della stessa altezza di

Filippo, che visto in quel modo, da così vicino, era proprio un bel mostriciattolo.

Piccolo Cuore iniziò a camminare a fianco di Filippo detto Bracabarak, portandosi sulle spalle i suoi amici, che iniziarono a tempestarlo di domande sulla sua vita, sempre più interessati e meno impauriti ad ogni passo che facevano.

3° premio – “Coniglia e Luponia” di Marta Gatti ex alunna scuola “Maria Immacolata” di Sabbioncello S. Vittore

C’era una volta un pianeta, uno di quelli che nessuno aveva ancora scoperto. Un pianeta abitato solo da conigli e da lupi.

Un’antica leggenda narra che tanto tempo fa la Terra fosse ormai diventata un deserto, gli uomini se n’erano andati tutti su Marte, gli animali si erano quasi tutti estinti, ma non i lupi, e nemmeno i conigli. I conigli, già da molti anni stavano studiando un modo per andarsene, avevano esplorato l’Universo in lungo e in largo alla ricerca di un nuovo pianeta in cui poter vivere, e anche i lupi stavano studiando un modo per fuggire e scoprirono lo stesso pianeta, così decisero di proporre un accordo ai conigli: “Dividiamo il pianeta in due e promettiamo di non farci più la guerra.” disse, il sindaco dei lupi. Il sindaco dei conigli rispose: “Come posso essere sicuro che voi lupi non mangerete il nostro popolo?” e Paolo, il sindaco dei lupi disse: “Procureremo carote in abbondanza per il vostro e il nostro popolo e promettiamo di convertirci a mangiare carote e di lasciarvi in pace per sempre”. Andrea, il sindaco dei conigli accettò. Così tutti i lupi e tutti i conigli che vivevano sulla Terra presero un’astronave e se ne andarono sul nuovo pianeta, Afrodite, che divisero in 2 città: Coniglia e Luponia.

Nel pianeta Afrodite, nella città di Coniglia, in una casetta viola, viveva una coniglietta di nome Elena che sognava di diventare una grande pittrice. Suo padre però, il sindaco dei conigli, non voleva che dipingesse, così lei appena poteva scappava nel bosco per dipingere le acque scintillanti del lago, le rigogliose chiome delle alte querce e i fiori variopinti. Tutto quello che le serviva per essere felice era in quel bosco.

In una giornata di sole, più o meno uguale a tutte le altre, Elena si svegliò e dopo aver fatto colazione, indossato il vestito rosso, essersi intrecciata i capelli, si incamminò per la scuola, ma quando arrivò quasi davanti all’enorme porta gialla qualcosa in lei scattò. Si nascose dietro un alberello e scappò verso il sentiero che portava al bosco, che passava per la grotta gigante dove nascondeva i colori, le tavole e il cavalletto per dipingere. Arrivata si posizionò al solito posto davanti al lago e iniziò a dipingere. All’improvviso si accorse di qualcosa dietro alla quercia che stava dipingendo, vide un movimento e decise di avvicinarsi per capire cosa

fosse. Era molto strano che nel bosco ci fosse qualcuno, penso Elena, erano ben pochi i conigli coraggiosi che si avventuravano nel bosco, soprattutto perché dopo la foresta di betulle nessuno sapeva cosa ci fosse realmente, tutti sapevano solo che aldilà vivevano i lupi, acerrimi nemici dei conigli dall’inizio dei tempi. Proprio in quell’istante si scontrò con qualcuno! E appena riuscì a capire cos’era successo vide che per terra, seduto davanti a lei, c’era un giovane lupo. La mamma le aveva descritto i lupi come esseri mostruosi ricoperti di peli neri come il carbone, con denti giganti e occhi rossi, ma questo lupo non aveva proprio niente di simile. “Ciao, io sono Luca!” disse il giovane lupo, “mi sono perso mentre stavo raccogliendo bacche con mio cugino, sai dirmi dove sono?”. Elena, sebbene la mamma le avesse detto di non rivolgere mai la parola ad un lupo perché sono grandi ingannatori, decise che quel lupacchiotto era talmente gentile che sarebbe stato davvero un peccato non rispondere. “Ciao, io sono Elena. Perché ti stavi nascondendo?” “I miei genitori mi hanno sempre detto di stare lontano dai conigli perché se mai ne avessi incontrato uno mi si sarebbe scatenato qualcosa che loro chiamano istinto, e mi sarebbe venuta voglia di mangiarlo! E poi mi hanno sempre detto che i conigli sono molto cattivi e antipatici, così ho avuto paura e ho preferito starti lontano, ma mi sembri molto simpatica.” Elena pensò che quel lupachiotto tutto arruffato era davvero buffo e poi perché qualcuno avrebbe dovuto mangiare un coniglio? Le sembrava davvero assurdo! “Beh, piacere di conoscerti Luca e benvenuto a Coniglia, la città dei conigli! I due erano davvero curiosi l’uno del mondo dell’altra, così Elena iniziò a raccontargli dei conigli coltivatori di carote, della festa dell’insalata, della festa dei travestimenti in cui tutti per farsi paura si vestivano da lupi, della sua vita a scuola e della sua passione per la pittura. Luca invece le raccontò della vita a Luponia dove tutti erano cacciatori di tartufi e funghi, ma anche di bacche, carote e patate, dove tutti i lupi si salutavano leccandosi il muso a vicenda, poi ancora della festa della corsa, della scuola della sua città e della sua passione per il ballo. Anche Luca era il figlio del sindaco e anche suo padre non voleva assolutamente che lui diventasse un ballerino, voleva che diventasse un grande atleta, peccato che lui odiasse correre. I due ragazzi passarono un’intera giornata a condividere le proprie storie, finché divenne sera, e ognuno dovette ritornare nelle proprie case. “Luca, ma perché non ci incontriamo

ogni pomeriggio nel bosco? È il luogo perfetto per nascondersi, io potrò dipingere e tu potrai esercitarti con il ballo”. Così promisero che ogni pomeriggio si sarebbero incontrati ai confini delle due città, nella foresta di betulle, per dipingere e ballare insieme. E così fu. Tutti i pomeriggi dopo aver fatto i compiti Elena si dileguava nel bosco per incontrare il suo amico Luca che arrivava con un piccolo stereo che risuonava musica classica e insieme si divertivano un mondo, cantavano, ballavano, dipingevano, si raccontavano barzellette sui conigli e sui lupi e mangiavano carote. Erano davvero un bellissimo duo ed Elena pensò di non essersi mai divertita così tanto con i suoi amici conigli e che Luca era davvero il lupo più simpatico del mondo.

Un giorno però, Andrea, il papà di Elena, decise di seguirla. Da un po’ di tempo Elena usciva tutti i pomeriggi dicendo che andava a casa della sua amica Anna, e Andrea pensò fosse giunto il momento di portare un pensierino alla famiglia di Anna per ringraziarli dell’ospitalità verso sua figlia. Quando arrivò a casa di Anna, però, la coniglietta le disse che Elena non era mai venuta a casa sua e che un giorno dopo la scuola l’aveva vista che si incamminava verso il bosco. Così Andrea, decise di andare a cercarla nella foresta di betulle. Quando arrivò davanti al lago divenne paonazzo per la rabbia, non solo sua figlia stava dipingendo, ma era insieme ad un lupo che stava ballando! I due ridevano così fragorosamente che nemmeno si accorsero di Andrea. “Elena, cosa diavolo ci fai qui nel bosco con un lupo? Vieni via subito!” “Papà, vengo nel bosco per svagarmi e lui è il mio amico Luca, un simpatico lupacchiotto”. Andrea in quel momento scoppiò, prese la tela di Elena e la spezzò in due, gettò il cavalletto nel lago e gridò “Vieni subito a casa! Da domani non dipingerai mai più, scordati questo stupido passatempo e non uscirai più di casa, sarò io a decidere chi potrà venire a trovarti!” “E tu caro lupo, sparisci prima che decida di dichiarare guerra ai lupi per colpa tua! Non dovresti superare il confine! Tornatene nella tua città”.

E così la storia di amicizia di Elena e Luca finì. Lei fu costretta a trascorrere i suoi pomeriggi chiusa nella sua stanza ad osservare il cielo e il bosco in lontananza. Luca invece provò a tornare di nuovo nel bosco per esercitarsi, ma senza Elena non era la stessa cosa… ogni giorno sperava che suo papà avesse cambiato idea

e di poter rivedere di nuovo le sue trecce, ma così non fu. Allora iniziò ad andarci sempre meno finché smise di andarci del tutto.

Trascorsero giorni, e poi mesi, ed Elena diventò sempre più triste, non voleva più vedere i suoi amici conigli, non sorrideva nemmeno alle barzellette più divertenti, vagava per le stanze di casa e per i corridoi della scuola come un fantasma, finché un giorno si ammalò. Il dottore disse che fisicamente era sanissima, ma che la sua anima era molto triste, come se le mancasse qualcosa. Andrea capì che era tutta colpa sua, così attraversò il bosco e arrivò a Luponia, dove tutti i lupi che incontrò lo guardarono stupiti. Grazie ad un passante riuscì a sapere dove abitava Luca e andò a trovarlo. Ad aprirgli la porta di casa fu Paolo, il sindaco dei lupi, suo storico nemico. Andrea, però, pensò che per il bene di sua figlia avrebbe fatto qualsiasi cosa, e disse: “Paolo dobbiamo smetterla di vivere ognuno nel proprio mondo, tuo figlio e mia figlia sono diventati amici, ti prego di permettere a Luca di essere amico di Elena, e anche io non mi opporrò alla loro amicizia, così la mia piccola guarirà.” Paolo, che nel frattempo era venuto a scoprire delle fughe di Luca nel bosco per ballare e lo aveva messo in punizione, si fece raccontare tutta la storia, e alla fine acconsentì. Da quel giorno non ci furono più confini tra la città di Coniglia e quella di Luponia. Nessun lupo mangiò un coniglio, conigli e lupi tornarono ad essere amici. Elena guarì e tornò a dipingere, Luca tornò a ballare e la loro amicizia durò per sempre.

4 °premio – “Le matite birichine” di Alice Lanzoni insegnante scuola CIF – Ferrara

Sul tavolo in studio c’era un astuccio pieno di matite colorate. Ce n’erano così tante, ma così tante da stare strette. Un po’ alla volta, cominciarono a fare chiasso e tossire. La cerniera stringeva troppo e cominciarono a darsi gomitate. Volevano uscire, rivedere la luce e respirare il profumo della carta.

“Oh insomma” disse Matita ROSSA, quella che si arrabbiava subito. “Qui non si respira, dobbiamo uscire!”

Matita GIALLA, la più geniale dell’astuccio, trovò il modo per aprire la cerniera e saltar fuori. Tutte seguirono il suo esempio, rimbalzando sul tavolo. Il viaggio delle matite birichine era appena iniziato.

Scivolarono su un enorme foglio bianco, liscio liscio, che il papà architetto prima di uscire aveva srotolato da una parte all’altra del tavolo.

PENNA applaudì e fu la prima a pattinarci su, scrivendo con solennità il titolo “Il grande viaggio fuori dall’astuccio”.

A ogni matita venne una voglia matta di disegnare qualcosa e cominciarono a pattinare con le punte  lasciando segni colorati sul grande foglio bianco. Chi di qua, chi di là, una andava verso il bordo in alto, un’altra in basso, chi di traverso, insomma il viaggio sulla carta si faceva interessante, ma caspita, che traffico sul tavolo! Ci voleva subito un semaforo!

PENNA guardò accigliata la scena e scosse il cappuccio delusa da tanta indisciplina al punto che schizzò sul foglio un po’ del suo inchiostro per attirare la loro attenzione e le rimproverò.

Matita NERA, la più seria dell’astuccio, disse:” Ferme tutte! Non si può andare avanti così. Guardate che confusione di segni avete fatto! Stiamo facendo un viaggio, è vero, ma ci sono regole anche davanti a un foglio bianco. Dai, facciamo le cose fatte bene. Siamo matite brave!

Tu GOMMA cancella fino dove puoi.

Tu VERDE sgambetta qui in basso e fai tanti fili d’erba.

Tu BLU prendi a braccetto il bianco e comincia a riempire lo spazio in alto col cielo.

Tu ROSSO fai i tondini delle mele attaccate all’albero.

Tu MARRONE disegna radici, tronco e rami.

E tu, GIALLO fai un bel tondo e riempilo di sole.”

Finito di dare i compiti, matita Nera si girò e vide matita ARANCIONE piangere in un angolo del tavolo.

Pattinò verso lei e le chiese il perché.

Matita ARANCIONE disse:” Piango perché nessuno mi ha chiamato e mi sto annoiando.”

Matita NERA pensò a un modo per tirarla via da quell’angolo e farla divertire e allora le venne un’idea.

“Ehi”, disse alla matita NOCCIOLA “Fai un bel cestino proprio qui in mezzo al prato e tu, matita ARANCIONE, riempilo di arance e mandarini. Mi raccomando, disegnali belli, colorati e sugosi.”

Quando il disegno fu terminato, le matite birichine si misero sul bordo per ammirarlo.

Era un capolavoro! Il foglio era davvero bello, non era più bianco, ma pieno di colori. Sembrava una grande paesaggio, il cielo era tutto azzurro con un bel sole giallo tondo tondo, il prato pieno di tanta erba fresca e gli alberi erano carichi di mele rosse mature.

Che soddisfazione essere matite! Avevano creato cose nuove e belle, per oggi il viaggio era finito.

Allora, GOMMA e PENNA entrarono per prime, le altre si disposero in fila indiana ed entrarono ordinate nell’astuccio, stanche ma soddisfatte.

Matita GIALLA entrò per ultima e si richiuse la cerniera.

Adesso avrebbero riposato.

“Domani cosa disegneremo?” domandò PENNA. “Tanti fiori colorati per questa Primavera piena di sorprese.”