Le parole del nostro Arcivescovo nel primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina

Il 24 febbraio 2022, la guerra tra Ucraina e Russia iniziata nel 2014 nel disinteresse di tutti, subiva un’accelerazione con l’invasione del Donbass da parte delle truppe russe. Da quella data la guerra è diventata mondiale, ha coinvolto tutti sul piano economico, sociale, politico e militare. Sul piano economico la guerra ha innescato una crisi a partire dal costo del gas, ma anche dal blocco del grano. Sul piano sociale è iniziato un esodo di 7 milioni di persone, di cui 3 milioni e mezzo hanno preso la strada dell’Europa, 170 mila hanno raggiunto l’Italia, generando un nuovo mondo di richiedenti asilo e protezione internazionale. Sul piano politico abbiamo assistito alla creazione di fatto di due blocchi – Stati Uniti ed Europa, Russia e Cina – e al fallimento di ogni tentativo diplomatico di pace. Sul piano militare è ripresa la corsa agli armamenti, anche nucleari, ed è iniziato l’invio di armi dai Paesi europei verso l’Ucraina. A distanza di un anno, ogni giorno conosciamo le armi che vengono inviate ma non sappiamo il numero dei morti dall’una e dall’altra parte: 100.000? 200.000? 400.000? L’invio delle armi ha preso il sopravvento sui decessi civili e militari, di giovani e adulti, di neonati e anziani. Nelle città europee, anche a Ferrara, le mamme e i bambini giunti tra noi in fuga ogni giorno dalla guerra, ormai da mesi vivono il dramma della lontananza da casa, dal proprio Paese, dai mariti, dai fratelli e genitori. Cosa fare a un anno di distanza? Anzitutto accogliere e tutelare le persone in fuga che sono arrivate tra noi, farle sentire a casa, superando i tempi lunghi della burocrazia, garantendo un minimo vitale, sostenendo i traumi nascosti, curando i malati. Il diritto d’asilo ha avuto con gli ucraini l’effetto di riabilitare, dopo 20 anni, la protezione temporanea, ma priva dell’ausilio di una cura, di un’assistenza che in altri Paesi è stata più veloce, più vicina, più capace di valorizzare il patrimonio umano di persone, donne e soprattutto bambini. È importante, però, non dimenticare che anche questa guerra, come tutte le altre, non è ‘giusta’, non può essere accettata: per rispetto ai morti, alle persone in fuga, a chi ha perso tutto. Purtroppo è più facile sentire parlare di guerra, di invio di armi e carri armati, in ogni ambito pubblico e privato: in politica, nelle aule parlamentari del nostro Paese e dell’Europa, nei circoli, nei dibattiti televisivi, al bar e nelle nostre comunità e famiglie.

La pace, al contrario, è considerata nel migliore dei casi un gesto di ingenuità, magari di natura profetica, attribuendo a questo aggettivo un significato più futuristico che di ‘segno dei tempi’, ovvero capace di trasformare la realtà. Un cristiano non può che esigere la pace. La pace è una nostra ostinazione. Dobbiamo ripetere ancora, e con ostinazione, ‘Tu non uccidere’. Uccidere è l’esito della guerra, di ogni guerra, anche di questa guerra in corso in Ucraina: una nuova guerra ingiusta, irrazionale, frutto di nuovi nazionalismi e di capitalismi, che spinge al riarmo. E di fronte a questa nuova “sciagura”, ennesimo “flagello” per l’umanità, ritorna il valore della scelta dell’obiezione di coscienza alle armi. Le veglie di preghiera, le marce di questi giorni hanno un valore politico, perché impegnano a cercare la pace, a costruirla ogni giorno, senza armi. Preghiamo, marciamo, costruiamo la pace per regalare futuro all’Ucraina e all’Europa, ricordando il monito di S. Giovanni XXIII, sessant’anni fa, nell’enciclica Pacem in terris: “Non c’è pace senza disarmo. Non c’è disarmo se non tacciono i cannoni, se non si smontano, oltre alle rampe missilistiche, anche gli spiriti. La pace non si regge sull’equilibrio degli armamenti, ma solo sulla vicendevole fiducia, sul disarmo dei cuori (P.T. 113).

+ Gian Carlo Perego

Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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