Capolavori in Duomo / 1 – Il primo dei contributi di Micaela Torboli sui gioielli presenti nella nostra Cattedrale. Scopriamoli in attesa della riapertura

di Micaela Torboli

Come scrisse l’abate Lorenzo Barotti (Serie de’ vescovi ed arcivescovi di Ferrara, 1781, pp.125-6), quando, nel 1628, il cardinale fiorentino Lorenzo Magalotti divenne vescovo di Ferrara, la Cattedrale cittadina «non era in troppo buon essere, e ne cominciò dalla superior parte il restauramento […] Oltre a ciò risarcì il palaggio vescovile, e altre fabbriche appartenenti alla mensa mezzo diroccate, e cascanti; e fece fare dal Guercino il bel s. Lorenzo che in Duomo all’Altare del Santo si custodisce con lodevole cura». 

Magalotti era parente di Maffeo Barberini, il futuro papa Urbano VIII: enormi furono i vantaggi ottenuti da questo legame, ma altrettante noie gli derivarono dall’ascesa dei nipoti del pontefice divenuti cardinali, così che gli convenne ripiegare sul ruolo di vescovo di Ferrara, città impoverita e schiacciata da carestie ed epidemie. Magalotti era fiero del proprio amore per le arti: a Roma aveva commissionato opere ad Agostino Tassi, Pietro da Cortona, Lanfranco e Bernini, ma là gli era ben noto anche il nome di Guercino, sommo artista centese. Avendolo a breve distanza, forse già appena giunto a Ferrara gli richiese la pala dedicata al santo del quale portava il nome, inizialmente intenzionato a farla portare a Roma, nella cappella di famiglia, probabilmente quella posta nella chiesa di San Girolamo della Carità. Non vi giunse mai. 

Il cardinale rimase per sempre a Ferrara: la sua tomba è in Cattedrale, mancò il 19 settembre 1637. Malato, e credendo far bene, decise di ingerire, all’insaputa dei medici, un po’ di vetriolo, che lo finì. Nel luglio precedente aveva fatto ritoccare da Guercino il suo dipinto, pagandolo con «due medaglie d’oro», come si legge nel Libro dei conti, dove si tenevano accuratamente elencate le entrate della bottega. Il quadro, che dopo diversi spostamenti venne sistemato nel braccio destro del transetto della Cattedrale, narra con toni di accesa violenza il martirio di Lorenzo (avvenuto dopo l’editto di Valeriano del 258, che condannava a morte vescovi, presbiteri e diaconi), il cui corpo quasi esanime viene costretto sulla graticola rovente, dove perderà la vita, da sgherri abbigliati alla seicentesca, sotto il controllo di un soldato in armatura. Ma gli occhi di Lorenzo guardano ormai solo gli angeli che dal cielo lo raggiungono, portando la corona fiorita del martirio.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 21 ottobre 2022

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