11 novembre 2019

Un ritratto del sacerdote tornato alla casa del Padre lo scorso 27 ottobre: l’impegno per il disarmo e per i Paesi poveri, il ricordo dell’esperienza in Congo, la malattia e il suo reintegro nell’esercizio del presbiterato

di Secondo Ferioli

Domenica 27 ottobre, Eugenio Melandri dopo il lungo combattimento con il drago (così chiamava il tumore che da un anno lo affliggeva), ha fatto ritorno alla casa del Padre.

Eugenio é stato un uomo che nella vita ha saputo fare scelte difficili, delle quali ha risposto sempre in prima persona, anche quando ciò non veniva compreso.

Dopo l’ordinazione sacerdotale e la scelta saveriana, inizia il suo ministero a Vicenza, con un gruppo di giovani in ricerca, facendo con loro un cammino di fede, fatto di piccole scelte, quali ad esempio: festeggiare l’ultimo dell’anno con ritiro e ascolto della parola, impegnarsi per la giustizia sociale, l’opporsi alla violenza delle armi, in quei tempi ampiamente commerciate nei paesi d’Africa e sud America. Chiamato dai superiori a dirigere la rivista della congregazione, “Missione oggi”, compie nel frattempo gli studi in Sociologia a Trento, acquisendo una formazione che rafforza il suo spirito critico; il tema del disarmo è al centro dell’informazione oltre a quello della giustizia sociale e della non violenza.

A Casa Cini, allora diretta da don Francesco Forini, vi è il primo contatto di Eugenio con Ferrara: una voce autorevole che anima i primi tentativi di obiezione alle spese militari, spiegando come il commercio delle armi fosse ingiusto e impoverisse i paesi africani e dell’America latina.

Il commercio delle armi fu duramente denunciato da Melandri su “Missione Oggi” e da Padre Alex Zanotelli su “Nigrizia”: scrissero l’editoriale “Spadolini piazzista d’armi”, che diede avvio alla campagna contro i mercanti di morte; entrambi però furono rimossi dall’incarico di direttori.

La campagna diede il suo frutto, la “legge 185/90”: una legge che dovremmo conoscere e far applicare, per bloccare la vendita di armi, che ancora continua verso i paesi in conflitto.

Eugenio arriva così alla difficile scelta di candidarsi alle europee del 1989 nelle liste di Rifondazione Comunista; viene eletto, ma per lui scatta la sospensione a divinis e la riduzione allo stato laicale. Come europarlamentare svolge un’intensa attività verso i paesi dell’America latina, definendo accordi che favorivano percorsi verso la democrazia. Fonda poi l’associazione “Senza Confini”, la cui missione è rivolta a paesi dell’America latina e Africa, avviando processi di lotta alla povertà, in collaborazione con le popolazioni locali, attraverso formazione e studio di progetti che vedono sempre il coinvolgimento diretto delle popolazioni. L’amicizia con don Tonino Bello lo porta anche a vivere l’esperienza della marcia di pace a Sarajevo in guerra.

Un’intuizione di Melandri è il rivedere il rapporto con l’Africa a partire dalla cultura africana. Con la collaborazione dei Saveriani e dei Comboniani, avvia per giornalisti e operatori dell’informazione, un percorso di conoscenza e approfondimento, attraverso viaggi e incontri col mondo della cultura africana. Il professore Ki Zerbo è uno dei primi ad essere coinvolto, testimone di quanto avvenne in Burkina Faso, conoscitore dall’opera del presidente del Burkina Tom Sankara, la figura che ispirò il sogno di indipendenza degli africani. Jean Leonard Tuadi, originario del Congo Brazavill, coopera strettamente con Melandri; le loro testimonianze, unitamente a quella di tanti altri africani, contribuiscono alla nascita dell’associazione “Chiama L’Africa”. I convegni presso l’università di Ancona favoriscono il processo di contaminazione in Italia del modo di guardare e pensare l’Africa, di cui Melandri è stato un puntiglioso sostenitore.

Attento a quanto avveniva in Congo (ex Zaire), e accogliendo la richiesta della società civile, dopo che la guerra dal 1994 aveva procurato 2.700.000 vittime, organizzammo insieme il Simposio Internazionale per la pace in Africa “Anch’io a Bukawu”, che si svolse a Butembo dal 24 febbraio al 2 marzo 2001, in una città deserta, in pieno coprifuoco. Il nostro obiettivo era dar voce alla società civile, zittita da disposizioni che ne impedivano l’espressione. Il viaggio dei partecipanti al convegno fu faticoso, ma a Butembo l’arrivo fu in un bagno di folla festante che dopo tanto tempo poteva ritrovarsi liberamente; Eugenio fece tutto il tragitto di ingresso in città piangendo di gioia ed emozione.

Melandri ritornò in Congo alle elezioni dell’ottobre del 2006: io ero ricoverato presso il Centro Gallucci di Padova e ricordo che mi chiamò la domenica mattina prima delle sei, e con voce squillante mi raccontò quanto fosse bello vedere la popolazione felice di potere esprimere il proprio voto.

Nel suo cammino Eugenio continua a seminare, fino a domenica 27 ottobre. L’ultimo anno lo trascorre nella famiglia Saveriana di S. Pietro in Vincoli, accolto dalla premura dei confratelli e in particolare del vescovo Biguzzi che lo tiene vicino come un figlio.

Eugenio ha vissuto una missionarietà autentica, purificata nell’ultimo anno di vita dalla lotta con il male che lo affliggeva e di cui ci ha resi partecipi con i suoi racconti.

Nella sua vita, Eugenio si interrogava se le scelte che aveva fatto erano giuste; raccontando a papa Francesco, espresse anche a lui questi dubbi; Papa Francesco, stringendogli le mani, gli ha detto “sì, hai fatto bene” e questa conferma ha riempito il cuore di Eugenio di gioia.

Il reintegrato nella Chiesa cattolica, l’incardinazione da parte del cardinale Zuppi nel clero bolognese, lo hanno ricolmato ancor più di gioia; riprendere a presiedere l’eucarestia, così com’è avvenuto domenica 22 ottobre, lo ha reso raggiante; una numerosa presenza di non credenti, lo ha coccolato; e lui ha sentito su di sé, ancora più forte, l’amore del Padre.

Alla luce di tutto questo credo non sia sbagliato dire di Eugenio: fino alla fine missionario, uomo di Dio, dono perché testimone fedele.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 novembre 2019

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