Nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia sono davvero raffigurati ebrei in corsa durante il Palio? L’ipotesi di Savy e il caso delle donne “mingarde”

di Micaela Torboli

Gli affreschi del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia (1470 ca.), ultimo esito e paradigma dell’età borsiana nell’arte ferrarese, continuano a stimolare gli studi interpretativi del ciclo, in ossequio alla complessità di quel mondo lontano, i cui linguaggi restano ancora in gran parte coperti da un velo. 

Il Mese di Aprile, dipinto sulla parete est del Salone, si deve a Francesco del Cossa: nella fascia che descrive la cosiddetta Apoteosi di Borso d’Este si vede un rettangolo dove è riprodotta la notissima Corsa al Palio, oggetto di uno studio recente di Pierre Savy, uscito nell’ultimo numero della rivista curata dall’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, «Schifanoia» (nn. 62-63, 2022, pp. 97-108). Il saggio è intitolato Sulla “corsa degli ebrei” del Salone dei Mesi, e qui Savy si occupa di un argomento emerso già da qualche tempo ma non approfondito, ovvero la possibilità che al Palio di Ferrara partecipassero anche membri della comunità ebraica, come accadeva e continuò a verificarsi in analoghe manifestazioni tenute in altre città. Lo studioso afferma che «con argomenti documentari e iconografici, si può sostenere, senza certezza, che si tratti di ebrei»: infatti la sua indagine tenta di produrre elementi a sostegno della sua tesi e non inverosimili proposte. Manca tuttavia un punto d’appoggio e conferma, ovvero una testimonianza scritta che possa rendere solida la questione. I cronisti ferraresi erano sempre attentissimi a questo tipo di fatti e, di certo, se un ebreo avesse partecipato ad uno dei diversi palii tenuti nella Ferrara del Quattrocento nel corso dell’anno (quello di San Giorgio era il più importante, ma non l’unico), lo avrebbero scritto nei loro memoriali. Del resto nessuno dei personaggi raffigurati in corsa a Schifanoia porta colori simbolici o segni distintivi di alcun genere, men che meno quelli cui venivano obbligati gli ebrei, e certo questo è un ostacolo per Savy, che sceglie di attenersi alla interpretazione della pittura limitandosi al livello figurativo, «evitando cioè di farne un pretesto per un discorso sulle corse degli ebrei nell’Italia rinascimentale o, a maggior ragione, sulle rappresentazioni degli ebrei e l’antigiudaismo nel Quattrocento italiano». 

Approccio di sicurezza, dal momento che scivolare nell’errore su questi argomenti è facile. Si pensi solo alla presenza di donne in questa corsa. Per lo più sono credute essere prostitute, non tanto per la loro disinvoltura nel mostrarsi seminude in pubblico, ma quasi solo sulla base di una citazione tratta dalla voce dedicata a Ferrara nella vetusta Enciclopedia dello spettacolo (vol. 5, coll. 173-185, Roma, 1958, a cura di Elena Povoledo) nella quale si legge: «al 1371 risale la prima notizia di una corsa di donne (“mingarde”)». Purtroppo questo dato su Ferrara non è controllabile, mancando nel testo la provenienza della notizia. Nelle Dissertazioni (op. postuma, 1752) l’austero Muratori spiegava che le meretrici correvano al Palio di Firenze, ma non precisava se ciò avvenisse anche a Ferrara. Certo “mingarda” passa per essere un raro sinonimo di donna di facili costumi, almeno così si dedurrebbe dalla voce “mingarda” dei dizionari, basata però solo su un passo di un componimento burlesco del toscano Franco Sacchetti (1332-1400) nel quale si elencano donne di facili costumi, tutte definite dai loro nomi di battesimo però virati in tono beffardo, come Fiorina, Bertazza, Ciutazza (da Ciuta, ovvero Ricevuta), e Mingarda, che deriva da Ermengarda, o secondo altri da Domenica=Minga=Mingarda. Altere badesse e nobildonne del Medioevo di nome Mingarda sono citate nei documenti medievali, senza che per questo loro nome le si colleghi ad una vita spericolata; si vedano le varie Mingarda presenti in Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di Luca Serianni (Firenze, Presso l’Accademia della Crusca, 1977). 

Savy non cade in errori interpretativi, è cauto. Ciò rende merito alla sua correttezza, e fa di questo studio sperimentale un valido contributo su una questione che si deve ritenere tuttora aperta ed irrisolta.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 7 luglio 2023

Abbonati qui alla nostra rivista!

Continua a leggere