Il triste declino: da fulcro del sistema a mero ornamento

di Guglielmo Bernabei

Come sono lontani i tempi di una stagione politica, culturale e programmatica in cui la cultura, la tradizione e il pensiero dei cattolici (senza ulteriori aggettivi qualificativi perché il cattolicesimo è uno solo) non erano una banale parentesi nella vita di questo o quel partito ma, al contrario, rappresentavano un punto qualificante di una identità e di un progetto politico complessivo.

Ora, a livello nazionale (e locale, tra pochi mesi si vota anche a Ferrara) è del tutto evidente la situazione. Da componente costitutiva e decisiva per la nascita di un partito o per il decollo di un progetto politico, la presenza cattolica si è ridotta a semplice comparsa che rivendica almeno un proprio esponente per poter partecipare alla distribuzione di qualche (piccola) candidatura sparsa qua e là. Ma, oltre questo triste epilogo, è altrettanto ovvio che il tema della presenza politica dei cattolici non si può ridurre a mendicare qualche briciola all’interno di singoli partiti o di liste civiche. E questo vale per qualunque sia il partito o il raggruppamento in cui si sceglie di candidarsi o di portare la propria testimonianza. Sono lontani, se non addirittura remoti, i tempi dell’esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana. Ma se nella cosiddetta “Seconda Repubblica” l’esperienza dei cattolici era ancora visibile – anche se cominciava il declino politico e culturale – è altrettanto evidente che c’è un modo concreto per svilire ancor di più questa cultura che conserva, anche oggi, una grande attualità e modernità. Ed è quello, appunto, di ridurla a comparsa.

E seppur dando per scontato l’acquisito pluralismo politico dei cattolici, non si può non avanzare una semplice riflessione. E cioè, la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può ridursi all’arredo o all’ornamento. E, purtroppo come da copione, oggi assistiamo a questo spettacolo malinconico. Al punto che molti osservatori, anche se storici detrattori dell’intera esperienza del cattolicesimo politico italiano, insistono a richiederne la presenza attiva nella politica italiana, e locale, per la loro specificità culturale e, soprattutto, per i valori che sono in grado di esprimere concretamente.

Nell’epoca della radicalizzazione della politica, tra populismi e personalismi, sembrerebbe che la cultura del dialogo e della mediazione non abbia spazio. E però non si sfugge all’impressione che la cultura cattolica non sia riuscita a depositare lezioni utili per una nuova generazione di cattolici impegnati in politica, o per meglio dire nella politica dei partiti, ed è questa una strana nemesi: la cultura politica che diede vita al più forte partito italiano oggi ripiega verso tutto ciò che non è “partito”.

Per questi motivi siamo arrivati ad un punto di svolta. Il pensiero cattolico non può ridursi a mendicare qualche posticino negli organismi dirigenti o nelle liste di partiti come compensazione per l’adesione a partiti che legittimamente coltivano identità culturali del tutto diverse, se non addirittura alternative, rispetto alle ragioni e alla storia del cattolicesimo italiano.

E certamente vedremo, anche alle prossime elezioni amministrative a Ferrara, qualche candidatura che si rifà con grande dignità ai valori del pensiero cattolico; e tuttavia, è altrettanto ragionevole immaginare che sarà una presenza accettata tra mille (troppi) compromessi, finendo “schiacciata” e destinata a contare poco o nulla.

Semmai, e al contrario, occorre prendere atto che il ruolo, la cultura, i valori e la tradizione del cattolicesimo non possono più essere un banale dettaglio all’interno dei singoli partiti. Si può giocare un ruolo importante e decisivo solo all’interno di formazioni politiche che non sono politicamente o ideologicamente distinte, né distanti, o addirittura alternative rispetto all’esperienza storica dei cattolici impegnati in politica.

Pubblicato sulla “Voce” del 12 gennaio 2024 (nella rubrica mensile “Ferrara e il bene comune”)

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