Il lacerto recentemente donato alla Città di Ferrara, strappato decenni fa da Casa Dal Sale-Minerbi: ecco tutte le simbologie. Le foto inedite delle margherite nella stessa Casa

di Micaela Torboli

Lacerto di affresco strappato dai muri della Casa Dal Sale-Minerbi e da poco donato da Luciano Minerbi alla Città di Ferrara

Spinge a nuove ricerche il recente dono alla città di Ferrara, da parte di Luciano Minerbi, di un lacerto di affresco strappato decenni or sono dai muri della Casa Dal Sale-Minerbi di via Giuoco del Pallone. Chi scrive ha già contribuito a chiarire molti aspetti riguardanti quanto è dipinto nel brano pittorico. Il riferimento è al mio libro Diamante! Curiosità araldiche nell’arte estense del Quattrocento (Ferrara, Cartografica, 2010): infatti il dipinto recuperato reca motivi araldici degli Estensi, e precisamente la divisa dei Tre Anelli con il Diamante, disposti sul muro in una partizione detta di “seminato”. L’Anello ornato dal Diamante estense esiste come divisa ferrarese a sé stante, ma anche moltiplicato in groppi. A Casa dal Sale-Minerbi il gambo di ogni anello ha un colore diverso, bianco/rosso/verde, la terna cromatica degli Este. La gemma diamante è da sempre carica di significati esaltati nei “lapidari” antichi e medievali. La durezza ineguagliabile, il valore, le simbologie ne esaltano la bellezza, valorizzata dal ‘400 grazie alla nuova tecnica della sfaccettatura. I Diamanti estensi sono “in punta”, perché si incastonavano in modo opposto rispetto all’uso moderno.

La moltiplicazione del singolo Anello estense non fu rara, anche nel dono amichevole che i signori di Ferrara fecero della divisa a famiglie alleate, che la usarono in modo creativo. Una divisa araldica (da non confondere con la parola che designa una uniforme) è altra cosa rispetto ad uno stemma, che ha formalità e scopi diversi. 

La presenza, ad intreccio tra i tre Anelli, di altrettante Margherite pratoline con i petali bianchi dal bordo rosso, fa capire che l’opera risale al tempo del marchese Nicolò III d’Este (1383-1441), perché quei fiori erano i suoi prediletti, mentre altri famigliari usarono far raffigurare vegetali simbolici diversi insieme all’Anello con il Diamante, come la Rosa di Leonello o il Garofano di Ercole I. Siccome Nicolò divenne marchese da bambino, e forse non pensò precocemente all’araldica, la datazione dell’affresco oscilla tra il 1410 ed il decennio successivo. 

Lo stesso vale per le pitture a Margherite pratoline, prive però degli Anelli, presenti sulle pareti dell’appartamento, di proprietà Barbujani, che fa parte della stessa Casa Dal Sale-Minerbi: ne pubblichiamo una immagine inedita, per la quale si ringrazia Chiara Barbujani. L’ornato araldico estense a casa Dal Sale-Minerbi si può spiegare in molti modi, in attesa di approfondimenti. I Dal Sale furono fedelissimi di Nicolò III. Solo per fare qualche esempio, Giovanni dal Sale (o Dalla Sale) divenne consigliere del bimbo-marchese fin dal tempo della delicata fase dell’intronizzazione, nel 1393; Alberto dal Sale, cavaliere del Santo Sepolcro, accompagnò Nicolò III a Loreto e in Palestina; Baldassarre dal Sale fu Abate di Pomposa dal 1413. Può darsi benissimo che il motivo ad Anelli sia stato donato a qualcuno della famiglia per meriti personali, così come accadde ad Uguccione Contrari, che nella Rocca di Vignola fece dipingere una sala tutta ad Anelli con Diamante triplici. Gli Anelli Estensi/Minerbi contengono parti di lettere gotiche da decifrare, ma è possibile formulare ipotesi. Si legge talvolta che Francesco Sforza (1401-1466), futuro duca di Milano, durante l’infanzia abitò nella Casa insieme alla madre Lucia Terzani, già concubina di Muzio Attendolo Sforza (1369-1424), alleato di Nicolò III. Il marchese facilitò le nozze di Lucia con il nobile reggiano Marco da Fogliano, e la loro vita a Ferrara. L’Estense donò pure all’amico Muzio la divisa dell’Anello con il Diamante, che egli tramandò alla schiatta. È possibile tanto che gli Anelli di Casa Dal Sale-Minerbi siano stati dipinti proprio per i Dal Sale stessi, o invece fossero legati al dono agli Sforza, data la presenza delle lettere gotiche, forse affini ad alcuni motti sforzeschi in altotedesco (i motti tramutano una divisa araldica in una impresa) come “Ich hof” – “Io spero”, o “Ich vergies nit” – “Non dimentico”. La speranza di evitare l’oblio si è in ogni modo inverata.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 16 settembre 2022

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