di Enrico Campagnoli

Immaginate un pittore che abbia sempre raffigurato la natura, tutto quanto attorno a lui, in senso realistico utilizzando al completo i colori della propria tavolozza. Immaginate lo stesso pittore che improvvisamente, ridipinga quegli stessi quadri utilizzando una nuova tavolozza avara, davvero avara di colori. Solo un grigio cenere frammisto ad un marrone chiaro. Un pittore che ha cambiato stile, che ha cambiato il proprio modo di rappresentare la natura? No, nulla di tutto questo. È un pittore che ha visto in faccia una realtà del tutto diversa. Così ho pensato entrando in questi giorni nella “zona rossa di Faenza” dove l’acqua, da sempre elemento vitale della vita di ciascuno, si è in pochi minuti trasformata in elemento di distruzione, di disperazione, di morte. Anche gli animali e gli uccelli scomparsi, nessuna sonorità, un silenzio inquietante, come se nulla esistesse, rotto solo dal passaggio dei mezzi di soccorso e dal raspare delle pale su terra ormai cementata al suolo. 

«Sono arrivati illuminando la mia e le altre case del vicolo con le fotocellule, e già questo aveva qualcosa di sinistro e allarmante»: così racconta uno dei tanti sfollati. «Ci chiedevano, quasi intimavano, di trasferirci ai piani superiori portando acqua, provviste e quant’altro ritenessimo fosse il caso di mettere al sicuro. Guardando fuori dalla finestra – continua con gli occhi lucidi – tutto era ancora tranquillo e nulla lasciava presagire alcun dramma. Ci trasferiamo al secondo piano e a fatica aiuto mia suocera a coricarsi su di un nuovo letto di fortuna. Poi improvvisamente un rumore sordo: l’acqua arriva con furia a voler inghiottire tutto. In poco tempo sale paurosamente: decidiamo di trasferirci tutti sul tetto. Nella notte, al buio, tutto sembra darci poco scampo anche perché l’acqua supera ormai il secondo piano». 

«Alle tre di notte veniamo illuminati dall’alto: un elicottero ci conforta, ci dice che non siamo soli in balìa della natura. Appesa nel vuoto, mia suocera viene lentamente portata in salvo sull’elicottero che si allontana rapidamente. Ci rinfranchiamo ma io e mia moglie rimaniamo nell’oscurità e soli: nulla più! Sarà soltanto nella mattinata che con un gommone ci verrà portato soccorso. Abbandoniamo il tetto, il nostro rifugio e salvezza: il livello dell’acqua è leggermente calato ma saliamo sull’imbarcazione accostatasi alla ringhiera del nostro terrazzo al secondo piano. Solo le cime di alcune palme dei giardini spuntano dall’acqua limacciosa e, facendo lo slalom tra tetti e detriti galleggianti, veniamo portati dove la terra è stata risparmiata. Ora sono qui e con l’aiuto di tanta brava gente, generosa ed altruista – conclude alzando gli occhi al cielo finalmente sgombro di nubi – cerco di recuperare e mettere da parte quanto possibile». 

Già, l’aiuto dei volontari: si sta ore ed ore nel fango, nelle acque ormai stagnanti e melmose dei piani ancora allagati, dei vani scala, delle cantine, autorimesse ed ingressi anche solo per rendere nuovamente facile il passaggio ai tanti che comunque non hanno voluto abbandonare la propria casa oppure, come in un nostro complesso e lungo intervento, rendere accessibile ai tecnici dell’Enel il locale in cui sostituire i contatori non più ovviamente funzionanti. Tante organizzazioni di volontariato e tanti volontari semplicemente datisi appuntamento in un luogo tramite una chat che chiama a raccolta i volenterosi nelle varie Faenza, Lugo, Conselice, Ravenna e tanti altri grandi o piccoli paesi colpiti dalla vastità di questa alluvione. Tornano immagini del passato: la rotta del Po, Firenze, tante e tante alluvioni. Tanti drammi ma anche tanta solidarietà di chi è sul luogo a spalare e di chi aiuta inviando materiale, generi alimentari o donando ciascuno per le proprie possibilità. 

Arriviamo a sera: tute, mascherine, stivali, guanti, ogni cosa indosso trasuda fango, acqua, polvere, sudore e racconta la giornata. Ci si confronta: «Forza, dai coraggio! Almeno in quella casa stasera si potrà nuovamente mangiare in famiglia e non nelle mense allestite nei campi base, nelle strutture d’emergenza create già l’indomani del disastro». È una piccola consolazione guardando attraverso il finestrino dell’automezzo che ci sta riportando alla nostra base. Troppe case sono ancora desolatamente vuote o al buio: e mi torna in mente il nostro pittore e i suoi colori che chissà per quanto tempo rimarranno ancora del tutto inutilizzati nella cassetta ma con la speranza in cuor suo di poterla al più presto riaprirla per nuovi dipinti, per nuovi sorrisi e nuove gioie. 

(Foto: Campagnoli con la moglie Marina)

Articolo pubblicato su “La Voce” del 9 giugno 2023

Abbonati qui alla nostra rivista!

Continua a leggere