La ricerca di Carlotta Gonzi su Journal of the History of Collections. Il quaderno vechio risulta fino ad ora il più antico documento sulle gioie del casato regnante, ed è uno strumento importante per valutare i sistemi di inventariazione, i gusti collezionistici del tempo, l’uso strategico, sociale, simbolico dei çoielli-zoglielli, spesso ricevuti in dono da potenti alleati, o commissionati a corte

di Micaela Torboli

Dal 12 giugno scorso il Journal of the History of Collections, che gravita intorno alla Oxford University Press, reca il saggio di Carlotta Gonzi «The unpublished quaderno vechio of Marquis Nicolò III d’Este» (vol.36, 3, datato novembre 2024). Il tema è quello di un inventario, finora trascurato e inedito nella sua interezza, dei preziosi del marchese di Ferrara Nicolò III d’Este (1383-1441), che copre gli anni 1433-1435, ed è qui in raffronto con altri elenchi estensi posteriori, già studiati, relativi al patrimonio del marchese e del figlio nonché successore, Leonello d’Este.

Le carte originali si trovano presso l’Archivio di Stato di Modena. Furono approntate da un personaggio noto a chi legge queste pagine, Benastruto degli Ipocrati, camerario di corte, il cui nome è legato a una splendida scultura, la Madonna della Melagrana di Jacopo della Quercia, oggi presso il Museo della Cattedrale di Ferrara (cfr. M. Torboli, Madonna della Melagrana, storia sublime e tormentata, «la Voce di Ferrara-Comacchio», 30-6-2023, p. 13). Il quaderno vechio risulta fino ad ora il più antico documento sulle gioie del casato regnante, ed è uno strumento importante per valutare i sistemi di inventariazione, i gusti collezionistici del tempo, l’uso strategico, sociale, simbolico dei çoielli-zoglielli, spesso ricevuti in dono da potenti alleati, o commissionati a corte.

Ricchi i significati politici ed iconografici di questi oggetti che non esistono più -rifuso l’oro, variate le fogge nel tempo- ma ne riconosciamo di simili nei dipinti dell’epoca. Anche la lingua ferrarese dello scritto, talora “italianizzata”, è corposa. Gonzi traduce giustamente la parola «zivolla», riferita alla forma di una perla, con cipolla; a chi conosce il dialetto ferrarese non sfuggirà inoltre che un’altra perla, la cui forma è citata come simile a un «pero chiazollo» (in ferrarese pera è maschile, per), prende da «per giazol», una varietà di pera “ghiacciola” citata anche nei vecchi vocabolari del dialetto ferrarese, ad es. in quello di Luigi Ferri (Ferrara 1889, p. 166).

L’ordine in cui gli oggetti furono elencati partiva dal loro peso, insomma dal valore materiale. Il primo prezioso descritto è «un orsso d’oro smaltado bianco con una muxarola al muxo d’oro», ornato da rubini e la perla come «pero chiazollo» pendente dal collare. Gonzi tratta l’orso come possibile dono al marchese di Ferrara, fatto già alluso in studi di Gianluca Ameri, da parte del duca Jean de Berry (1340-1416), raffinatissimo fratello del duca di Borgogna Filippo l’Ardito. Per Jean de Berry l’animale si fece esempio araldico: tema simbolico trattato da Michel Pastoureau nel suo L’orso. Storia di un re decaduto (ed.it. Torino, 2008; con l’avvertenza che i termini araldici francesi non sempre collimano con quelli italiani). Si noti che quanto resta della tomba di Jean de Berry, scomposta durante la Rivoluzione francese – è opera di Jean de Cambrai, Étienne Bobillet e Paul Mosselman; si trova nella cripta della Cattedrale di Bourges-, mostra appunto ai piedi del gisant un piccolo orso accucciato, con museruola e catena a guinzaglio. Oltre a quelle già sciolte da Gonzi, altre particolarità si possono identificare nel quaderno: per fare un solo esempio, grazie al dono estense del 1433 a «messer Lodovigo da Gonzaga» per le sue nozze con Barbara Hohenzollern di Brandeburgo. Si trattava di un gioiello d’oro con perla «a modo de una zivolla», piccoli rubini e uno smeraldino.

Bianco-rosso-verde sono i colori della livrea araldica estense, da non confondere con smalti e metalli dello stemma: fatto poco studiato ma noto, era così anche per la livrea gonzaghesca tricolore (e pure, non senza confusioni, per i Malatesta, gli Aragona di Napoli e i Medici, cfr. M. Torboli, Il duca Borso d’Este e la politica delle immagini nella Ferrara del Quattrocento, Ferrara 2007, pp.31-33), per cui il regalo aveva implicazioni allusive dirette. Che cogliamo grazie all’utile strumento offerto da Gonzi, ricco di altre rarità da svelare.

 

Foto grande: Amadio da Milano, Medaglia di Nicolò III d’Este, 1437 ca.

Foto piccola: Tomba del duca Jean de Berry (1340-1416), Cattedrale di Bourges.