19 dicembre 2019

Una lettera di alcune coppie di separati, divorziati e risposati della nostra Diocesi rivolta a laici e presbiteri: “ascoltateci e cercate di discernere e comprendere, prima di giudicare”. Spesso, scrivono, “fino a quando permane la speranza di salvare un matrimonio, la comunità cristiana, forse, impegna risorse, ma se questa speranza viene meno, restano solo il commento fuorviante o il silenzio”

In questi anni abbiamo incontrato e ascoltato tante coppie in difficoltà, alcune già con l’idea della separazione consolidata, altre separate da tempo. Alcune anche con una nuova unione. E’ dalle loro confidenze, dalle loro richieste di aiuto, in alcuni casi dalla loro rabbia, che abbiamo scelto di dedicarci principalmente all’ascolto delle loro fatiche e ferite, e, laddove possibile, indicare loro una strada per ritrovarsi e ritrovare la meta.

Uno spazio primario per questo ripartire crediamo sia da sempre la preghiera e l’incontro con il Santissimo Sacramento, per questo anche quest’anno riproponiamo le adorazioni Eucaristiche per le famiglie ferite, e lo facciamo proponendo come tema della riflessione: “Dio infinita tenerezza”. Le quattro adorazioni che ci accompagneranno da gennaio ad aprile prendono spunto da questa lettera aperta, scritta a più mani, sintesi e frutto di una richiesta di tanti.

 

“Molti cattolici dovrebbero comprendere prima di giudicare”

La verità senza la carità condanna. La carità senza la verità inganna. La carità nella verità salva

Vorremmo dire due parole sulla condizione dei separati, divorziati e risposati, ai laici e ai presbiteri.

Ai laici, perché davvero tante volte ignorano l’accoglienza delle persone che vivono questa situazione; ai presbiteri, perché troviamo che ci siano tante contraddizioni tra le buone intenzioni dichiarate e la realtà della prassi. La Chiesa dice che ci accoglie, ma la nostra sensazione dominante è che essa è in attesa che noi ritorniamo ad essere “normali”. Di fatto non parla con noi del nostro problema: ci utilizza come occasione di meditazione e di autoconversione per gli altri, i “normali”…

I separati, sia quelli fedeli al sacramento che quelli ri-accompagnati o risposati – che non sono, appunto, considerati “normali” – sono chiamati a compiere un passo fondamentale per ritrovare un minimo di serenità: scegliere la tenerezza come progetto di vita nonostante il dolore, nonostante i torti subiti, nonostante la paura per il futuro, nonostante il malessere sperimentato; una tenerezza che si radica in Dio-Trinità, vive di lui e conduce a lui. Si chiede una persona divorziata: “Si deve aver vissuto e sofferto in prima persona il disgusto, l’odio, la colpa, l’umiliazione, le ristrettezze economiche, l’ansia per il futuro, il muro di silenzio, la perdita della maggior parte degli amici, per poter comprendere che cos’è successo e cosa succede alle migliaia di coppie che ogni anno divorziano?”.

Questa domanda è un forte richiamo a saper discernere, a comprendere prima che a giudicare. I separati non pretendono facili giustificazioni, non se le danno nemmeno loro; nemmeno si attendono consolazioni di circostanza. Prima che giudizi (o pregiudizi), però, si aspettano partecipazione e ascolto nella prova. Questa attesa che potremmo definire accoglienza, spesso rimane delusa. Si può riconoscere che, fino a quando permane la speranza di salvare un matrimonio, la comunità cristiana, forse, impegna risorse, ma se questa speranza viene meno, restano solo il commento fuorviante o il silenzio. In altre parole, la comunità cristiana segue con varie e appropriate iniziative le coppie sposate, ma si trova invece in difficoltà a raggiungere le diverse situazioni cosiddette “irregolari”. Nella nostra Diocesi ci sono certamente, in controtendenza, lodevoli iniziative, ma ancora rare ed elitarie, nel senso che non hanno il desiderio di far parte di una pastorale d’insieme e comunitaria.

Ma che cosa significa accoglienza? Sarebbe una semplificazione ingenua pensare che l’accoglienza si risolva con l’ammettere ai sacramenti: sarebbe una scorciatoia che favorisce il qualunquismo, la confusione e, alla fine, l’indifferenza. Tutto sommato è più facile dare una comunione in più che fermarsi ad ascoltare una persona e accoglierla con il cuore. Quali iniziative pastorali, allora, si potrebbero mettere in atto perché queste persone si sentano davvero accolte nella Chiesa?

Anzitutto è necessario che nella Chiesa si maturi un animo accogliente e si formino delle comunità fatte di uomini e donne accoglienti, attenti alle persone. Questa accoglienza domanda un cambio radicale di mentalità da parte dei sacerdoti ma anche da parte delle comunità, primo fra tutti, l’ascolto. Perché ciò avvenga, è indispensabile assicurare un’adeguata formazione dei sacerdoti anche sotto il profilo umano, un maggiore discernimento sul percorso per giungere alla nullità del matrimonio, una pastorale rivolta alla “conversione alla comunione” per permettere l’avvicinarsi al Sacramento attraverso un cammino di conversione.

Nella nostra diocesi una persona ferita dal fallimento del proprio matrimonio – tra cui ci mettiamo anche noi – che tipo di Chiesa vorrebbe trovare?

Sicuramente una Chiesa accogliente e misericordiosa, nella quale ciascuno possa sentirsi amato e aiutato, una Chiesa che non emargina nessuno e sa accompagnarsi al passo di ogni persona per aiutarla a camminare verso l’accoglienza piena del Vangelo e delle sue esigenze. Una Chiesa davvero educante che si fa carico del cammino di ogni persona, una Chiesa, infine, che sa “farsi prossima” a chi è in situazione matrimoniale difficile o “irregolare”.

La nostra “Chiesa”, se così si attiverà, – ne siamo certi – saprà individuare e vivere sempre più e sempre meglio, nel rispetto e nella condivisione fraterna, nuove possibilità per farsi “una e vicina” alle situazioni matrimoniali difficili e “irregolari”.

Questo per noi è concretamente accogliere l’insegnamento di Papa Francesco.

Commissione diocesana famiglie

Laboratorio famiglie ferite

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2019

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