17 dicembre 2019

Ricostruire il popolarismo (non il populismo) a un secolo dall’appello ai “liberi e forti”: tra i principi e la realtà c’è lo spazio del discernimento. L’esempio della tecnica che si vorrebbe slegata da ogni etica

Come evitare il male sociale e costruire il bene comune?”. Da questa domanda occorre partire per riflettere, oggi, sull’impegno civico nella polis.

Occorre mettere in evidenza il valore del discernimento, anche nella costruzione di progetti politici coerenti e credibili. Nel Centenario dell’appello di don Sturzo ai “liberi e forti”, con la nascita del Partito Popolare italiano, da tempo si sta parlando di una nuova stagione dell’impegno dei cattolici in politica, con sfumature diverse. La testimonianza cristiana è da sempre politica, ma nel dibattito all’interno del mondo cattolico ci stiamo concentrando molto sulle politics, la ricerca del consenso, essere o non essere un partito. Tutte riflessioni utili. Tuttavia, occorre ribaltare l’approccio e porre al centro le policy del mondo cattolico: le competenze, i luoghi e le soluzioni che abbiamo per risolvere i problemi complessi che coinvolgono la società, l’economia e la tecnologia. È per questo che, rilanciando il dibattito sul “cosa”, sarà molto più semplice capire il “come”. Don Sturzo ci ha lasciato un metodo: la ricostruzione del popolarismo, come meta-categoria politica, basata sullo spirito riformista, l’interclassismo, la coesione sociale, la centralità della persona e la cultura della mediazione, che non vuol dire accontentare tutti, ma rappresentare tutti, in particolare le minoranze che oggi non hanno diritto di parola. Tra i principi e la realtà esiste una terra di nessuno in cui si prendono le decisioni; è questo il campo del discernimento. Si tratta di un percorso che porta alla costruzione del bene comune, un’arte che realizza umanamente chi la pratica e, come conseguenza, dona coraggio, forza, consolazione e pace. Ne ha parlato anche il Papa, quando ha chiesto di discernere interpretando tre azioni: “riconoscere, interpretare, scegliere”.

Occorre continuare a ribadire i princìpi che ispirano la dottrina sociale della Chiesa, l’antropologia che ci caratterizza per offrire persone preparate in grado di amministrare e soluzioni ponderate sui temi della politica. Soprattutto, c’è un punto sul valore della vita e sull’utero in affitto o maternità surrogata su cui ci deve essere molta chiarezza. È il caso in cui le categorie dell’umanesimo cristiano cedono il passo a quelle del post-umanesimo laicista, dove la riflessione pubblica si limita ad accogliere passivamente i traguardi della tecnica. Occorre chiedersi: quando viene lesa la dignità delle persone più deboli – come il nascituro e la gestante madre – oppure quanto il desiderio soggettivo di una coppia committente può diventare diritto in un ordinamento democratico? L’insegnamento degli ultimi tre Pontefici ci offre un approccio antropologico alla maternità surrogata che richiede di portare la domanda al cuore della tecnica, per capire come questa possa servire l’uomo, senza servirsene. Con questo tema tocchiamo la radice del significato di vita, di corpo, di rapporto madre-figlio, di dignità, di memoria, ma anche di dono e di reciprocità. E tutto questo è politica. E’, quindi, importante offrire formazione politica ai giovani e favorire un ampio dialogo fra i cattolici. Conoscere la politica e la sua qualità dipende molto dalla formazione e dai testimoni che la vivono come missione. Il compito che abbiamo innanzi è quello di riuscire a connettere le esperienze, comprese le culture, perché non cresca il conflitto ma la dimensione della speranza.

Associazione “Ferrara Bene Comune”

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 dicembre 2019

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