Il dramma sulla via Pomposa. Le parole di don Vittorio Serafini
Forte la commozione, grande il dolore, tante le domande il giorno dei funerali di Manuel Lorenzo Ntube, il giovane calciatore del Padova Calcio rimasto ucciso nell’incidente del 30 novembre lungo via Pomposa a Ferrara, insieme a un amico ancora ricoverato in ospedale ma non più in pericolo di vita.
La chiesa di San Giorgio Martire a Quartesana era piena di centinaia di persone sabato 17 dicembre, per la S. Messa presieduta dal parroco don Vittorio Serafini. «Quello che è accaduto mercoledì – ha detto nell’omelia – ha stravolto tre famiglie (di Manuel, di Edoardo, e dell’investitore), ha stravolto il gruppo degli amici, ha stravolto un istituto scolastico, ha stravolto la società calcistica del Padova, ha stravolto il paese di Quartesana e non solo». «E questo ci ha fatto comprendere quanto sia fragile la vita e quanto noi la diamo per scontata. Questa lezione avremmo voluto impararla con più tempo e non nel buio della notte del 30 novembre. La morte di Manuel allora ci deve servire nel cammino della vita, deve diventare un ricordo indelebile che ci aiuterà ad essere più maturi e più attenti alle cose che contano.
«Il giorno successivo la sua morte – ha proseguito – ho trovato un suo amico inginocchiato in questa chiesa, davanti all’altare del crocifisso e le sere successive si sono susseguiti altri compagni. Ho percepito tutto questo come un segno di maturità, una presa di coscienza riguardo il dono della vita, un frutto scaturito dal sacrificio della morte di Manuel. La nostra vita è preziosa quanto il più grande dei tesori ed è fragile come il più bello dei vasi di cristallo». «Dobbiamo allora allontanare la logica del videogiochi che potrebbe farci pensare di avere a disposizione una infinità di vite. Dobbiamo maturare l’idea che non è possibile resettare la partita, per ricominciarne una da capo. Una ed una sola è la vita terrena da vivere il più intensamente possibile e da custodire nel modo più geloso e più proficuo.
«Manuel era un ragazzo solare – sono ancora sue parole -, un ragazzo di compagnia, un ragazzo dai tanti sogni ed uno in particolare: diventare calciatore. Per me era normale chiedere a Manuel notizie di suo fratello maggiore che gioca nell’Albinoleffe e la risposta era sempre stata determinata e fin troppo chiara: “Io diventerò più bravo di mio fratello Michael”. L’ultima volta che avevo visto giocare Manuel era stato a luglio per la sagra del paese in onore della Madonna del Carmine, durante il torneo del Quartesanito. Avevo visto chiaramente come aveva affinato la tecnica alla scuola della società calcistica del Padova. Rispetto ai suoi coetanei aveva una marcia in più e lo aveva vinto l’ultimo Quartesanito. Manuel era cresciuto in questa parrocchia – ha detto ancora il parroco – frequentando l’A.C.R. e si era affacciato anche al gruppo dei giovanissimi, poi, come tanti suoi compagni aveva abbandonato il percorso. Aveva mantenuto però quel suo carattere accogliente, aperto verso tutti, un carattere che sprigionava simpatia ed amicizia.
Articolo pubblicato su “La Voce” del 23 dicembre 2022
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