Un angelo a quattro zampe è il nome del libro autobiografico di Paola Pocaterra, fisioterapista ferrarese: il racconto di un’esperienza dolorosa ma ricca e il legame speciale col cane guida Gaia
di Umberto Scopa
Paola Pocaterra, fisioterapista ferrarese, è l’autrice di un libro autobiografico, Un angelo a quattro zampe (Anima Edizioni, 2024), che voglio consigliare a tutti in modo sentito. Tra le ragioni per cui credo meriti di essere letto antepongo il pregio di introdurci in una realtà, spesso rimossa, impenetrabile e distante dalla nostra esperienza quotidiana, cioè l’universo cognitivo dei non vedenti. Lo fa attraverso il racconto, a tratti anche commovente, del suo rapporto con Gaia, il cane guida che l’ha accompagnata per tanti anni.
Gaia è la vera protagonista della storia e con lei è possibile conoscere tutte le straordinarie abilità che un cane guida apprende, tra le quali però manca il dono della parola e così Gaia si dovrà rivelare al lettore nelle parole della sua compagna Paola. Stavo per scrivere “nelle parole della sua padrona”, ma inciampavo proprio nel rischio di tradire la testimonianza dell’autrice che non sembra affatto voler inquadrare il rapporto col cane guida in un’espressione riferita primariamente al concetto di proprietà. Non voglio sottostimare il rapporto affettivo che noi tutti intratteniamo con i nostri animali domestici, ma il rapporto con un cane guida rappresenta l’esempio, forse unico, di un legame affettivo, comunicativo e anche organico tra mondo animale e umano, come fossero un corpo solo. Il cane guida connette i suoi sensi in modo permanente a quello della persona che accompagna, permettendole di sopperire – per quanto possibile – ai limiti della sua condizione.
Ma c’è di più e si tratta di un concetto sfuggente, e al tempo stesso affascinante che anima questo scritto. Gaia come guida anche spirituale, come già si intravede nel titolo. Ovvero l’occasione – per quanto faticosa sia da cogliere – di sviluppare nel disagio una diversa insospettabile forza, sensibilità e consapevolezza esistenziale che occorre ovviamente lasciare alle parole dell’autrice per chi vorrà esplorarle. Ognuno con la sua sensibilità potrà provare a cogliere questo non semplice significato, il cui valore può volgersi, se colto, a beneficio di tutti.
Il libro ci racconta anche qualcosa sull’addestramento dei cani, il loro avviamento alla persona che dovranno accompagnare, la faticosa costruzione di una fiducia reciproca. Si tratta di un rapporto dove la compagnia, pur fondamentale, è solo una componente di quell’articolata serie di compiti ai quali il cane guida è addestrato. Nel raccontarci questo profondo legame affettivo, l’autrice non trascura le implicazioni psicologiche legate al decorso naturale della vita del cane: l’invecchiamento, più precoce di quello umano, induce a prevedere come verosimile la possibilità dell’avvicendamento di due cani guida nell’assistenza della persona. Come è noto il cane esaurisce il suo tempo di vita prima dell’uomo, e comunque anche solo l’anzianità lo priva dell’efficienza necessaria nell’assolvere alla sua assistenza; e in questo caso si impone la scelta tra la convivenza di un nuovo cane con quello “pensionato”, o il distacco doloroso dal secondo per ragioni di necessità.
In particolare dalle parole dell’autrice traspare e stupisce soprattutto la capacità che il cane guida acquisisce di distinguere il momento nel quale è “fuori servizio”, e può seguire quegli slanci naturali, anche giocosi, che conosciamo in ogni cane, e il momento dell’autocontrollo che sa di dover osservare quando è “in servizio”, cosa che si impone nell’espletamento dei suoi compiti più delicati di assistenza.
Ovviamente il libro è un viaggio per i vedenti nell’universo misterioso e impenetrabile dei non vedenti, dove i ciechi sono i lettori, con il privilegio tuttavia di non esservi condannati. Un mondo dominato da leggi differenti, anche di gravità, dove il peso di una nostra sosta in macchina nello stallo disabili per pochi secondi, col pensiero “tanto all’occorrenza mi sposto subito”, in quell’universo può rivelarsi ben maggiore di quello trascurabile che immaginiamo.
Questo scritto offre pertanto una preziosa occasione di crescita e di apertura mentale su uno scenario per lo più sconosciuto.
L’apertura crescente verso la disabilità da parte della nostra società è spesso esibita, anche a ragione, come motivo di orgoglio. Spesso si trascura però che deve passare sempre per uno sforzo conoscitivo approfondito che va oltre i limiti di una nostra superficiale immaginazione. Immedesimarci nella disabilità significa andare oltre un nostro limite naturale, ma sfidare questo limite è pur sempre l’unica scelta possibile per stabilire un contatto vero con la disabilità, la quale nello sfidare i propri limiti ogni giorno patisce una condanna e non una scelta, senza alternative.
Non sarebbe onesto negare che esista oggi nella costruzione dell’ambiente urbano, e nei servizi pubblici, un aumento di attenzione per la disabilità in generale; tuttavia spesso si limita ad interventi superficiali, destinati a rimanere tali se manca un vero tentativo di comprendere in profondità quella condizione materiale e psicologica difficilmente comprensibile per chi è stato beneficiato da un destino più benevolo.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 ottobre 2025
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