Marco Scansani sul Burlington Magazine ha pubblicato  i risultati della sua scoperta su un frammento ritrovato e attribuito a Donatello. Ma la storia dell’altra metà, rubata un secolo fa e mai più ritrovata, lascia ancora molti interrogativi

di Umberto Scopa

Un recente articolo pubblicato sul Burlington Magazine lo scorso novembre ha rivelato un’importante scoperta avvenuta nella nostra città (ne abbiamo parlato sulla Voce del 15 novembre 2024, ndr). Una collezione privata ferrarese custodiva nel suo seno il frammento di una formella di terracotta della quale si ignorava l’attribuzione alla mano di  Donatello. Il reperto rivela caratteri stilisticamente affini ai lavori noti del grande scultore fiorentino del quale una presenza a Ferrara troverebbe conferma da alcune fonti. Ma l’argomento portante, che ha sciolto ogni residuo dubbio dei ricercatori, è un altro. Si tratta della relazione che unisce in un unico pezzo quel frammento con un altro di antica memoria, già noto alla storia della nostra città e ritenuto di unanime attribuzione a Donatello. I due frammenti di terracotta, accostati lungo la linea di spaccatura, aderiscono e compongono una figura coerente riconosciuta come “Il funerale della Vergine”. Questo sposta ovviamente l’attenzione del nostro discorso su quel frammento di più antica memoria, la cui unanime attribuzione a Donatello trapassa anche nel nuovo ritrovamento. 

I due pezzi però non potranno ricongiungersi fisicamente nella loro originaria interezza perché quello già precedentemente noto fu rubato dal Museo Schifanoia nel lontano 1921 e mai più recuperato. Ci rimane solo una sua fotografia, preziosa come documento perché ha permesso di sciogliere i residui dubbi sull’appartenenza dei due frammenti ad un’unica opera e alla mano di Donatello. L’attenzione merita dunque di spostarsi sul pezzo scomparso, e non solo per la ragione appena detta, ma anche perché la sua vicenda storica è affascinante e il mistero sulla sua sorte ancora conserva aspetti irrisolti.

CRONACA DEL FURTO

La più esatta descrizione del frammento oggi mancante è di Pietro Niccolini, Direttore del Museo Schifanoia, pubblicata sulla Gazzetta ferrarese del 24 giugno 1921: «La formella di terracotta (con la cornice in legno scolpito cm 43 per 47, senza cornice 29 per 33) rappresentava a bassorilievo due scene svolgentesi in due piani sovrapposti ed uniti da una scala, nella parte superiore alcuni bambini reggevano una tomba ed alcuni personaggi parevano in pianto, nell’inferiore un guerriero seduto in terra ed un bambino che giuocava con un cane; sulla scala due guerrieri in piedi ed una donna affacciata ad una piccola finestra. La fattura sollecita indicava evidentemente trattarsi di un bozzetto che per giudizio unanime è stato attribuito a Donatello. La formella aveva da una parte una rottura». Quel furto del 1921, tristemente memorabile, prende di mira le preziose collezioni di monete, medaglie, placchette e nondimeno la formella di cui ci stiamo occupando. La formella, collocata in una cornice e infissa al muro, viene strappata a forza e trafugata insieme al resto della refurtiva. 

Ripercorriamo la dinamica di quell’infausto evento come lo racconta il Direttore Niccolini. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno i ladri fanno irruzione nell’Orto della Caserma di Cavalleria in via Cisterna del Follo dopo aver abbattuto una rete metallica. Superato questo ostacolo, tagliano altre due reti metalliche che si frappongono tra loro e la parete dell’edificio da aggredire. Con due scale, innestate una sull’altra, iniziano la scalata alla parete nord. Rompono ancora una rete metallica posta a protezione della finestra. Si servono, quindi, di un diamante per praticare un foro circolare in una lastra e aprono l’imposta. Si introducono in questo modo nella Sala degli Encausti dove sono custoditi anche i codici miniati. Da qui vincono la resistenza di una porta rafforzata da lamiera e poi un cancello di ferro. Accedono così alle sale dove prelevano le opere di loro interesse. La porta era stata rafforzata dopo l’ultimo ingente furto risalente al 1912. Non era la prima volta, dunque, che il Museo era stato teatro di una così grave tragedia per le pubbliche collezioni. Non manca poi Niccolini di evidenziare attentamente le differenze tra il furto appena avvenuto e quello del 1912. A differenza del precedente, nel furto appena compiuto la cernita degli oggetti prelevati rivela una direzione esperta che ha pianificato l’azione criminosa. La formella rubata, per esempio, non è affatto di facile trasporto, non è di facile monetizzazione, se non c’è già un committente in attesa; anche il suo valore non è una conoscenza che appartiene al criminale comune, ma a qualcuno che sia anche pratico del commercio di opere d’arte; oltretutto – sottolinea Niccolini – l’azione dei ladri trascura vetrine limitrofe di oggetti preziosissimi e di più facile asporto. Questo fa pensare che i ladri dovessero avere di mira oggetti ben individuati per specifici interessi di qualcuno e non una più vasta e indifferenziata refurtiva.

NICCOLINI DURO CONTRO LE ISTITUZIONI

Detto questo, occorre notare anche un altro aspetto importante di quella relazione che non può passare inosservato. Niccolini non si limita a relazionare la dinamica del crimine e a descrivere la refurtiva, ma si espone, senza giri di parole, ad un molto circostanziato atto di denuncia rivolto ad altri soggetti istituzionali. Lamenta prima di tutto quanto fosse «maldifeso il vistosissimo tesoro», al punto da affermare che la disgrazia era da aspettarsi: manca un telefono – afferma- manca un campanello elettrico, che pure si trova anche in negozi modesti e aggiunge che vi era un difetto nella porta che avrebbe agevolato i ladri. Ricordo che Niccolini è il Direttore del Museo e quindi presumo che non avrebbe fatto questa pubblica denuncia senza essersi adoperato per procurare al Museo l’occorrente per mettere la sicurezza in piena efficienza. 

Ancora più dure, però, sono le accuse rivolte alla Questura, responsabile a suo dire di non essersi resa conto subito della gravità del fatto. Il furto era stato denunciato alle ore 11 e ancora nel pomeriggio perdura il sopralluogo senza aver provveduto «a mandare telegrammi circolari alle stazioni di confine e nelle città delle regioni attorno; ma quel che era ancora peggio non lo si era ancora fatto all’indomani mattina». Ma non è tutto. La denuncia contro la Questura, già pesante così, ha il suo coronamento finale nell’accusa di occuparsi solo dell’ordine pubblico a discapito della tutela del patrimonio artistico. 

Per il recupero della refurtiva si ipotizza ogni mezzo. Un articolo della Gazzetta Ferrarese del 26 settembre 1923 ci informa che il prof. Giuseppe Agnelli, Direttore della Biblioteca Ariostea, si fa promotore di una singolare iniziativa: rivolge pubblicamente l’invito ad un locale Istituto di Credito affinché metta a disposizione una somma destinata a chi avesse procurato o restituito il maltolto e anche garantendo ai restitutori di rimanere anonimi. Iniziativa velleitaria, che oltre a sollevare dubbi morali e legali, richiede un apporto finanziario cospicuo, e la collaborazione delle forze dell’ordine per astenersi dall’indagare i possibili restitutori. In ogni modo l’invito non risulta raccolto da nessuno dei vari soggetti chiamati al suo esito felice.

UN’ILLUSIONE DA BERLINO

Le indagini naturalmente seguono il proprio corso, ma neppure queste producono risultati. Tuttavia, pochi mesi dopo il fatto, arriva da Berlino la notizia che la polizia è riuscita a ritrovare e sequestrare un’intera collezione di medaglie provenienti dal furto di Schifanoia. La notizia è pubblicata dalla stampa e genera un diffuso entusiasmo nel nostro Paese. La gioia del ritrovamento, però, è di breve durata. Le autorità tedesche nel corso degli accertamenti danno comunicazione che la raccolta ritrovata a Berlino era stata rubata ad un collezionista privato della Baviera. Riguardo al ritrovamento berlinese, le notizie della stampa in mio possesso non chiariscono se davvero le autorità tedesche avessero generato la speranza di una restituzione a Ferrara per poi fare retromarcia indicando l’appartenenza ad un collezionista bavarese. La refurtiva era stata puntualmente descritta pezzo per pezzo dal Direttore Niccolini e l’identificazione doveva essere tale da non generare equivoci.

Interrogativi importanti meritevoli di risposte con ricerche più penetranti e approfondite; ammesso poi che oggi, a distanza di tanto tempo, possa portare qualche utilità, oltre alla semplice conoscenza, sempre benvenuta.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2025

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