Nato nel 1812 dietro S. Maria in Vado, padre Antonio trascorre tutta la sua vita al servizio dei Nativi negli Stati Uniti. Sacerdote, medico, architetto e artigiano, a lui è dedicata una Contea. Ecco come ha portato Cristo in quel pezzo di mondo
di Filippo Vanelli
Questo mese di ottobre, dedicato alle missioni, è il periodo ideale per riscoprire la meravigliosa (ma, forse, un po’ dimenticata) figura di padre Antonio Ravalli: ferrarese di nascita, missionario per vocazione, padre premuroso per tante persone che hanno sperimentato la sua incrollabile dedizione e la sua amorevole sollecitudine. Anche per noi, oggi come ieri, può essere l’amico a cui affidarsi: come allora, quando correva per i territori sconfinati del Montana per non lasciare nessuno solo, così ora nella comunione dei santi può farsi prossimo di coloro che lo invocano da Ferrara e da ogni luogo.
Antonio Ravalli nasce a Ferrara, in via Scandiana (di fronte a Palazzo Schifanoia), il 16 maggio 1812 da Giovanni, ingegnere pontificio e da sua moglie, Teresa Fioravanti. Il giorno successivo alla nascita, come certifica il registro parrocchiale, riceve il sacramento del battesimo nella chiesa del miracolo eucaristico di Santa Maria in Vado. Nel 1827 Antonio entra giovanissimo nella Compagnia di Gesù, ricostituita da pochi anni (1814) dopo la soppressione del 1773. Ricco di capacità e talenti, studia filosofia, teologia, matematica, biologia e medicina, a cui unisce grandi doti artigianali e manuali: un enorme bagaglio culturale che Antonio metterà interamente a servizio del Vangelo. Riceve incarichi in nord Italia come insegnante anche se non tarda a manifestarsi in lui una certa inclinazione verso la vita missionaria. Nel 1840, dopo vari mesi di indecisione, decide di comunicare questa sua aspirazione al padre generale dei gesuiti, Joannes Philippe Roothaan (1783/85-1853). Ecco cosa scrive: «Sono vari mesi che mi sento al cuore un desiderio di scriverle e d’offrirmi a Lei per qualche Missione, e un tal desiderio va in me sempre più accendendosi di giorno in giorno».
Nel 1843 viene ordinato sacerdote e poco dopo, nel 1844, il suo afflato missionario diventa realtà. Viene destinato infatti alle missioni del nord-ovest degli odierni Stati Uniti, fondate pochi anni prima dall’instancabile padre gesuita Pierre Jean De Smet (1801-1873). Più precisamente, il novello sacerdote è assegnato alla St. Mary’s Mission (oggi Stevensville, nella Bitterroot Valley) istituita il 24 settembre 1841 da padre De Smet: prima chiesa e primo accampamento nel territorio che diventerà, 48 anni dopo, lo Stato del Montana. Dopo otto lunghi e faticosi mesi di viaggio giunge a destinazione nell’estate del 1845, sostituendo così lo sfortunato padre Pietro Zerbanatti, affogato poco tempo prima nel fiume Bitterroot. In questo luogo la formazione poliedrica del giovane e talentuoso sacerdote diventa servizio concreto ai Nativi di quei luoghi (Salish o Flatheads) e ai primissimi coloni provenienti da est. Sacerdote, medico, chirurgo e farmacista, architetto, scultore e artigiano, padre Antonio era in grado di realizzare strumenti chirurgici e macchinari con il poco di cui disponeva. Alla St. Mary’s Mission avvia i primi mulini, distribuendo la farina ricavata ai Nativi. Realizza magazzini, granai e canali di irrigazione. Costruisce inoltre la prima segheria del Montana. Impara la lingua Salish per poter annunciare il Vangelo e curare i malati, percorre sterminate distanze per raggiungere chiunque chieda il suo aiuto. A causa di scontri e dissidi tra le popolazioni Salish e Blackfeet, nel settembre 1850 padre Ravalli e un suo confratello, fratel Claessens, sono costretti ad abbandonare la missione. Così un altro gesuita descrive la situazione: «Abitare a St. Mary era come vivere in un villaggio normanno dell’undicesimo secolo – un attacco era sempre incombente». Negli anni seguenti padre Antonio svolge diversi incarichi tra California e Idaho. Nella Sacred Heart Mission (Idaho) prosegue la costruzione di una chiesa da lui disegnata anni prima: si occupa della realizzazione del tabernacolo, di alcune sculture in legno e altri ornamenti.
Il 1866 è l’anno del ritorno alla sua amata St Mary’s Mission assieme a fratel Claessens. Qui p. Ravalli si mette subito all’opera progettando, edificando e decorando la storica chiesetta tuttora presente. Oltre a ciò padre Antonio rinsalda il legame e l’amicizia con i popoli nativi, testimonia loro la Buona Novella sia con la predicazione sia riattivando quelle attività delle quali c’era enorme bisogno: agricoltura, falegnameria, assistenza sanitaria. Scarseggiando di rifornimenti medici, studia egli stesso i rimedi dei Nativi, arrivando a coltivare le proprie erbe medicinali e realizzando i propri farmaci. Produce il primo alcol distillato del Montana dalla radice della Camassia, una pianta diffusa in quelle zone. La sua piccola casetta annessa alla chiesa diventa una vera e propria farmacia che, all’occorrenza, si trasforma anche in infermeria per accogliere e curare i casi più gravi. La fiducia dei Nativi nei suoi confronti è così grande che accettano di farsi vaccinare contro il vaiolo. Non vuole alcun compenso per le cure e per gli altri innumerevoli servizi che offre: ciò che gli viene donato lo destina interamente alla St Mary’s Mission. Nel 1879 padre Ravalli è colpito da un infarto che gli paralizza metà corpo. Nonostante questa infermità sempre più invalidante egli continua il servizio di assistenza ai bisognosi, facendosi trasportare tramite un carro guidato da un amico. Quando gli viene proposto il trasferimento, che gli consentirebbe di ricevere cure più adeguate, padre Antonio rifiuta: desidera stare fino all’ultimo con le persone alle quali ha donato la sua vita. Muore alla St. Mary’s Mission il 2 ottobre 1884 e lì viene sepolto in mezzo alle altre tombe dei suoi amati Nativi, come da lui richiesto.
Si potrebbero menzionare tanti aneddoti sulla sua vita. Mi sembra opportuno aggiungere alcuni passaggi estratti dalle memorie scritte da un suo confratello gesuita, L.B. Palladino, pochi giorni dopo la morte di p. Ravalli. Sono la preziosa testimonianza diretta di come la vita di padre Antonio sia stata una costante conformazione a Cristo: «La passione predominante di Padre Ravalli per tutta la sua vita era stata quella di fare del bene all’anima e al corpo di tutti, indipendentemente da età, razza, credo o condizione, con una sola preferenza per i più poveri o i più sofferenti. Non era mai più felice di quando, come sacerdote, aiutava un peccatore a riconciliarsi con Dio; o, come medico, alleviava, a costo della propria tranquillità e del proprio benessere, i mali e le pene di qualche povero sofferente. Nelle sue maniere, nei suoi modi e nella sua vita era semplice come un bambino. Intensamente affettuoso, era non meno espansivo che sincero e costante nel suo affetto. A una pia dama distinta, che gli aveva chiesto se, durante i molti anni trascorsi sulle Montagne Rocciose, non avesse provato il desiderio di rivedere la sua patria, i suoi genitori, rispose: “Sì, e avrei potuto avere quel piacere. Ma allora – continuò – il sacrificio non sarebbe stato completo” e abbassando la testa sul petto scoppiò in lacrime e singhiozzò come un bambino. Di indole naturalmente allegra, la sua conversazione era sempre brillante, allegra e piacevole, e molte delle sue argute frasi, molte battute divertenti e storielle piacevoli sono diventate un classico in tutto il paese».
L’attaccamento degli abitanti del Montana, di qualsiasi provenienza ed estrazione sociale, per padre Ravalli si è immediatamente manifestato anche attraverso riconoscimenti pubblici. Il primo si ebbe nel 1893 quando il Parlamento del nuovo Stato del Montana, dovendo istituire una nuova contea nella Bitterroot Valley, decise di chiamarla “Ravalli County” (Contea di Ravalli). Il secondo tributo pubblico è più recente: il 16 marzo 2005 la Montana Historical Society (che preserva e condivide la storia e l’eredità culturale del Montana) ha inserito padre Ravalli nella “Gallery of Outstanding Montanans”, reputandolo una delle figure più significative dello Stato. Per giungere, infine, ai nostri giorni è bene riportare, seppur brevemente, il bellissimo e significativo incontro, avvenuto lo scorso 23 settembre, tra la comunità parrocchiale dell’Unità Pastorale Borgovado e una piccola delegazione legata a padre Ravalli. Un discendente di padre Antonio, il dott. Carlo Ravalli con sua moglie, assieme alla dott.ssa Dora E. Bradt (responsabile dell’organizzazione non-profit che si occupa della gestione della St. Mary’s Mission) e un piccolo gruppetto di fedeli sono venuti a visitare il Santuario di S. M. in Vado. È stata ldonata loro una fotografia in alta risoluzione di padre Ravalli, datato 17 maggio 1812. Un gesto semplice, nato dal desiderio di custodire una memoria comune e di far crescere una vera amicizia ecclesiale tra Ferrara e il Montana, tra S. M. in Vado e la St. Mary Mission.
L’auspicio è quello di un “gemellaggio della memoria e della preghiera”, fatto di scambi culturali, visite, momenti di testimonianza e di intercessione reciproca: perché la storia di fede e carità vissuta da padre Ravalli torni a ispirare le nostre comunità.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 ottobre 2025
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